Interviste

''Se la SIAE avesse investito in tecnologia saremmo già morti'': intervista al CEO di Soundreef

Abbiamo intervistato il CEO di Soundreef, la società che ha messo in discussione il monopolio di SIAE.

Articolo di
Damir Ivic
on
13
-
11
-
2020
“Se la Siae avesse investito in tecnologia invece di pensare a farci la guerra, ora saremmo già morti”: Davide D’Atri, CEO di Soundreef, senza filtri



Uno scontro che ha avuto vertici altissimi (secondo una inchiesta dell’Espresso, con in mezzo addirittura spionaggio industriale fatto da un’agenzia israeliana) ma che ora, dopo l’accordo di poco più di un anno fa, pare essere finalmente diventato almeno una “pace armata”: stiamo parlando della saga Siae versus Soundreef. La prima, storica monopolista nel nostro paese per quanto riguarda il diritto d’autore; la seconda, società originariamente inglese ma fondata da un italiano, Davide D’Atri, e che ha visto proprio nel nostro mercato il posto migliore dove concentrare i propri sforzi e la propria presenza. E questo, non a caso. Su Esse ce n’eravamo già occupati inquadrando per bene la questione, ora abbiamo deciso di approfondire dando la parola proprio a D’Atri. Il quale, ovviamente, ha difeso i suoi interessi e le sue posizioni – ma lo ha fatto senza tirarsi troppo indietro di fronte a questioni spinose, eventuali autocritiche e passaggi problematici. L’impressione è che la battaglia ha smesso forse di essere giocata con armi scorrette, ma è ancora tutta da combattere. E questo forse potrebbe essere un vantaggio per gli artisti. Anche per la scena hip hop: verso cui c’è già, come potete leggere, un occhio di riguardo. Per motivi ben precisi.


Prima di tutto vorrei chiederti: esiste un mercato di riferimento preferenziale, per Soundreef? Ovvero generi e scene musicali a cui vi riferite principalmente, più che ad altri?


No, devo dire di no. Non credo ci sia, proprio come principio. Una “collecting society” di suo deve infatti essere neutra: neutra rispetto agli autori, alla loro fama o importanza, al genere che fanno… deve insomma trattare tutti in modo uguale. Detto ciò, chiaramente il nostro sistema si può dire che sì, al momento funziona molto meglio per alcuni tipi di autori e di generi musicali, questo è un dato di fatto. Ma è una cosa che deriva analizzando a posteriori i dati, non una scelta a monte.


Come mai quindi per determinati autori e determinati generi funziona meglio? Qual è il vostro vantaggio competitivo, in certe aree?


Fin dal giorno uno, il nostro principale vantaggio competitivo è aver ricostruito in modo completamente digitale quello è il “flow” canonico delle royalty, la loro filiera cioè: dal controllo della musica, ricreato attivando dei monitor in digitale, passando all’incasso e poi alla redistribuzione. Tutto automatizzato, tutto progettato per offrire un rendiconto analitico (preciso quindi al cento per cento). Questo significa che tutto ciò che viene suonato, viene prima di tutto effettivamente trovato (e già questa non è una cosa banale); una volta individuata l’esecuzione del brano, il sistema non fa altro che “matchare” il passaggio o i passaggi con quello che è l’incasso dovuto, creando così dei precisi dati statistici che vengono tra l’altro interamente restituiti all’autore/editore. È ovvio che in questo momento tutto questo funzioni particolarmente bene soprattutto per l’online, le radio, le televisioni e gli eventi live di una certa importanza. Perché? Perché si tratta di situazioni dove, grazie alla consolidata professionalità di questi contesti, possiamo organizzarci tutti quanti per una gestione efficace: si tratta infatti di ambiti in cui i dati ci vengono restituiti in maniera chiara, veloce, trasparente, granulare (o, in alternativa, ambiti dove ci è permesso di avere dei meccanismi di controllo attivo da parte nostra). Se invece ti sposti in situazioni come, che ne so, il piccolo bar all’angolo della strada lì è inevitabilmente più difficile trovare un’organizzazione specifica in tal senso, ci si muove con meno precisione e più lentezza quindi. È questione di tempo, comunque; si sta lavorando proprio per ampliare l’efficacia dei vari meccanismi a tutti i contesti, anche quelli più “difficili”. In questo momento, in ogni caso, l’artista che guadagna una percentuale importante dall’online, dalla radio, dalla televisione e da un’attività live ben strutturata guarderà con grande interesse a noi: perché sono i campi dove abbiamo maturato un’operatività davvero efficace.


Molto banalmente: come fate quindi a riconoscere che un brano è “vostro”, nel momento in cui passa in radio o in televisione? Coi live c’è l’utilizzo del borderò digitale – e ci torneremo sopra – ma con altri contesti come fate, invece? Mettete in campo una specie di “Shazam” che riconosce le tracce?


Per radio e televisioni, in effetti, si usa proprio una specie di “Shazam”, chiaramente diverso e molto professionale. Noi monitoriamo in modo non stop decine di migliaia di canali televisivi e radiofonici in Italia così come nel mondo. Nel momento in cui rileviamo un passaggio, esso viene automaticamente riportato nell’account dell’autore/editore: capisci che quindi può diventare anche uno strumento efficace di marketing, perché ti permette di vedere praticamente subito come un tuo singolo appena uscito stia performando, giusto per fare un esempio pratico. Attenzione, però: il passaggio è doppio. Tutti i grandi broadcaster infatti sono obbligati a darci i loro “report di utilizzazione”, ovvero una specie di borderò che radio e tv sono obbligati a compilare: quando questi report ci arrivano, noi facciamo sempre un cross-match tra quello che è scritto lì e quello che invece è stato rilevato dal nostro sistema, in modo da rilevare (e risolvere) eventuali incongruenze. In questo modo la ripartizione è davvero analitica al 100%, non ci sono approssimazioni, e questa è stata una svolta nel nostro mercato del collecting.


L’online, invece?


Per quanto riguarda l’online, quindi parliamo di YouTube, Spotify, Deezer, Apple Music, Amazon Music, eccetera eccetera, utilizziamo – sulla base di accordi pan-europei – un protocollo di trasmissione di informazioni chiamato DDX, molto sicuro e fatto molto bene, e soprattutto in grado di trasmettere i dati in maniera molto granulare. Sempre per dare un esempio pratico riferito a chi opera in campo hip hop: questo ci permette di essere molto veloci ed efficaci nelle performance per dire su YouTube, con una rendicontazione poi su base mensile. Ecco, dei vari servizi di streaming si può dire che sì, sono molto “arroganti” nel decidere quanto cedere di royalty, danno poco, però è altrettanto vero che sono i più efficaci di tutti nel darti dei dati precisi, particolareggiati, in modo veloce. Che poi, questo rende ancora più incomprensibili i motivi per cui le collecting society ripartiscano i proventi derivanti dall’online solo dopo dodici mesi o, in alcuni casi, addirittura diciotto; e magari addirittura nemmeno lo fanno su base analitica. Incredibile, davvero. Non me lo spiego.


Resta il live.


Noi siamo stati i primi, maggio 2014, ad emettere per l’Italia il borderò digitale. Guarda, quasi mi vergogno a dire che abbiamo fatto questa “grande innovazione”… Perché in realtà è assurdo che ancora in quegli anni (e in parte ancora oggi), alla fine di un concerto, per avere conto di quali brani siano stati eseguiti, si dovesse prendere carta e penna e compilare un formulario cartaceo, moltiplicando così i passaggi su tutti i livelli e complicando pure le cose, aumentando a dismisura i margini di errore ed approssimazione. Nel momento in cui puoi fare un borderò digitale e non più cartaceo è tutto molto più facile, veloce, snello, preciso. Assurdo non l’abbia fatto nessuno prima, onestamente.


Comunque so che per tutto questo dovete appoggiarvi a LEA (Liberi Editori Autori), non potete operare da soli.


La raccolta dati e la rendicontazione la facciamo in realtà noi: è tutto tecnologia che viene sviluppata da noi, venendo poi appaltata a LEA, un’associazione no profit. Questo perché in Italia ad oggi solo i soggetti senza scopo di lucro sono autorizzati a raccogliere i diritti, per legge: LEA quindi raccoglie i diritti per noi, su nostra autorizzazione. È un passaggio formale, non sostanziale, perché ripeto: tutta la tecnologia e tutti i processi appartengono a Soundreef, e sono gestiti da Soundreef. Non è un caso unico peraltro: all’estero ci sono altre associazioni no profit per la raccolta dei diritti che ci chiedono di utilizzare la nostra tecnologia, e noi siamo ben lieti di offrirla.


Ma il mercato italiano è il vostro focus principale? Inizialmente non era così. Soundreef nasce in Inghilterra, ed inizialmente guardava molto al mercato americano…


Verissimo. Vedi, i nostri servizi vengono utilizzati ormai in una trentina di paesi nel mondo. Recentemente per dire abbiamo stretto una partnership molto forte con la Suisa, praticamente la “Siae svizzera”, che ci permette di raccogliere royalty dovunque nel mondo, anche lì dove non operiamo direttamente (…di fatto la stessa cosa che fa Siae, che si accorda con società consorelle in vari paesi internazionali: uguale dinamica). Con la Suisa ci troviamo veramente bene. Però non ci sono solo loro: abbiamo accordi su scala europea anche con i vari digital service provider, come detto. C’è però da dire una cosa: il mercato italiano è cresciuto tantissimo e sì, da un certo punto in avanti è diventato per noi sicuramente quello più importante. Non è stata una scelta a monte: è avvenuto un po’ per caso. Vero, abbiamo iniziato in Inghilterra, con l’idea di espandersi in più paesi. Ma andando avanti, proprio le marcate inefficienze nel mercato italiano più che in altri mercati ci hanno permesso di crescere molto qui. Oggi siamo arrivati a rappresentare ben 26.000 autori/editori italiani, su un nostro totale globale di 43.000: un numero altissimo, che nemmeno noi all’inizio avremmo mai immaginato. È la riprova che in Italia c’era tanto, tanto da fare. E poi, un’altra cosa importante.


Dimmi.


Pochi sanno che in realtà il mercato dei diritti in Italia per questo segmento specifico è uno dei più ricchi del mondo, parliamo del sesto posto assoluto, un giro di 650 milioni di euro (per dare un’idea, l’Inghilterra con 700 milioni complessivi e la Germania con 750 ci sopravanzano di molto poco). L’Italia è quindi un mercato altamente strategico.


Questo perché da noi comunque si consuma molta musica?


Sarà onesto, e ti darò una risposta anche poco politically correct: no, il mercato italiano vale così tanto come giro d’affari perché la Siae è stata molto brava nel tenere alti i corrispettivi. Gli utilizzatori – chi cioè fruisce di musica coperta da diritto d’autore per la propria attività – pagano insomma tanto, rispetto ad altri paesi. La Siae ha quindi tutelato in maniera eccellente autori ed editori. Anche noi come Soundreef abbiamo approfittato di questo (…e anzi siamo arrivati ora ad ottenere ancora di più, con alcuni utilizzatori). Quello che è sempre mancato, in Italia, era una efficace ripartizione di questi incassi. Perché gli incassi sono sempre stati consistenti, sì: ma a chi arrivavano? Una ripartizione che andava fatta in maniera trasparente, veloce ed analitica ma, evidentemente, tutto questo è stato fatto solo fino ad un certo punto. Chiaro, quanto una nazione “consumi” musica resta sempre un fattore importante nel determinare il giro d’affari legato ai diritti, per rispondere alla tua domanda specifica; ma prima di tutto conta quanto paga una radio, una televisione, un organizzatore di concerti per una licenza che prima era Siae, e ora può essere sia di Siae che di LEA. Tutto questo deriva dalla grande attenzione che storicamente è stata data al problema del diritto d’autore in paesi come il nostro, o come Francia, Germania: cosa che consente di strutturare in maniera molto forte tutto ciò che ruota attorno a questo diritto. Altrove il problema dei diritti d’autore è stato invece trascurato, o messo a lungo in secondo piano, col risultato che l’impatto finanziario e il giro d’affari generato è molto minore.


La mia impressione, maturata sul campo, è che il vostro ingresso nel mercato abbia cambiato anche la Siae. Parlavamo prima del borderò digitale: ora è una abitudine anche per loro, per quanto riguarda i concerti live, non è certo una prerogativa solo vostra. Giusto per fare un esempio, ne potrei fare altri.


Vero: da quando siamo entrati nel mercato, la Siae è parecchio migliorata. Questo è giusto la riprova di quanto una liberalizzazione fosse davvero necessaria. Anzi, bisognerebbe fare ancora di più. Non solo ora c’è un nuovo soggetto, cioè noi, ma anche il vecchio monopolista è cambiato, è diventato molto più efficiente. E chi ci guadagna? L’autore/editore, semplice! Che ora può scegliere, finalmente. Il punto infatti non è “Soundreef è meglio”, o “La Siae è più brava”: il punto è che finalmente l’autore/editore può scegliere il servizio che sente più efficace e più vicino alle proprie esigenze specifiche.


Che svantaggio potrebbe rappresentare il fatto che la Siae rappresenti un catalogo vastissimo, capillare, e il vostro onestamente sia ancora piuttosto ridotto? Parlo da un punto di vista del musicista, dell’autore/editore…


In realtà, per il musicista noi in questo momento siamo una scelta migliore. Ora siamo arrivati ad una taglia abbastanza grande da avere le spalle larghe, in più abbiamo finalmente superato i vari problemi legali e politici. Il mercato ora è fluido, incassiamo da tutti gli utilizzatori senza intoppi. Anche l’accordo che c’è stato con la Siae ad aprile 2019, stabilendo finalmente i confini operativi e risolvendo una serie di controversie, ha migliorato molto la situazione. Bene: in queste condizioni di “normalità”, stare in una società che di fatto è di dimensioni più ridotte – molto più ridotte rispetto ad un “colosso” – può essere un vantaggio concreto. Prima di tutto, perché l’autore/editore ha un interlocutore per sé con cui parlare direttamente. È quasi come se si avesse in mano il numero di telefonino diretto di chi opera nel customer service… e il nostro customer service è fatto tra l’altro di gente giovane, sveglia, molto appassionata – e quindi molto rapida nell’interagire, nel cogliere le criticità. Secondo aspetto: noi, in proporzione, incassiamo di più, questo oltre a ripartire meglio, con più precisione e più velocemente. Andando da certe televisioni o da certi broadcaster, proporzionalmente incassiamo di più, sì. E più riusciamo ad incassare noi, a monte, più a valle cioè agli autori/editori arrivano soldi. Quindi ecco: forse proprio adesso è il momento migliore per iscriversi a Soundreef, sfruttandone le specificità, prima che fra qualche anno magari diventi più grande ancora. Quello che posso dire che è tutti gli artisti “grossi” che si sono iscritti da noi abbandonando la Siae, con l’eccezione di uno, hanno guadagnato di più dopo il passaggio. E parliamo di decine di artisti.


…quello che ha guadagnato di meno è Achille Lauro, a proposito di “grandi acquisti” di Soundreef che poi però hanno deciso di tornare indietro in Siae?


No, no, lui no! Non posso ovviamente dirti i conti degli artisti, però di sicuro lui nel passaggio con noi non ci aveva perso. Cosa però sia davvero successo per fargli cambiare idea, ancora adesso non lo so…


Coll’accordo di aprile 2019 che citavi prima, è finalmente finita allora la guerriglia tra Soundreef e la Siae, guerriglia che ad un certo punto si era arricchita addirittura di episodi di supposto dossieraggio tramite agenzie israeliane, da parte di Siae nei vostri confronti?


Diciamo una cosa: noi siamo in pace con noi stessi e, di conseguenza, cerchiamo sempre di essere in pace con il mondo. L’accordo di aprile 2019 è sicuramente importante e cerca di mettere il punto su tutta una serie di controversie. Sono decisioni molto significative, riguardano tra l’altro anche gli organizzatori e non solo gli artisti/editori, e garantiscano che non ci possano più essere delle pratiche abusive di Siae nei nostri confronti: ci sono stati riconosciuti una serie di diritti, ecco. In questo modo davvero credo che si sia trovato finalmente un equilibrio. Poi, parlando di relazioni tra noi e loro, credo che ancora oggi si potrebbe fare molto, molto meglio. Perché la verità è che nel nostro mercato c’è assolutamente spazio per due se non addirittura tre operatori da far convivere pacificamente. Nessuno sostiene che la Siae non sia un ente preziosissimo, per la tutela del diritto d’autore: c’è e ci sarà sempre, e di questo siamo felici, davvero. Ti dirò di più, nemmeno mi immagino una Siae che diventi minoranza sul mercato – non è neppure un nostro obiettivo che questo succeda; il nostro obiettivo è puntare ad un 20, 30% di market share. Qual è la vera questione, il vero punto d’arrivo? La vera questione è che in questa fase di costruzione di un mercato finalmente aperto, non bloccato, ci si possa alla fine confrontare liberamente, confrontare tra di noi e pure con i vari interlocutori politici, discutendo di soluzioni comuni che possano migliorare il servizio prima di tutto per gli utenti. Eppure tutto questo sembra ancora difficile da far accadere, perché di fatto la Siae pare avere ancora in testa un mondo che non esiste più, che è superato dai fatti.


C’è una domanda che ti devo fare, se vuoi un po’ “sempliciona” ma è un dubbio di molti. Ovvero: ok, la Siae è un gigante, ha le sue inefficienze, è un ex monopolista, ma comunque anche in un regime di liberalizzazione come in quello che stiamo iniziando a vivere è percepita comunque come un ente statale, com un “porto sicuro” insomma, che succeda quel che succeda resterà comunque sempre in piedi. Voi, invece, nate da fondi d’investimento, è da loro che avete trovato le risorse: se i fondi si sfilano per chissà quale motivo, voi potreste non esserci. Come si risponde a questo dubbio?


Ah, in una maniera molto semplice: si risponde con quella che è la libertà di scelta. Allora: tu puoi decidere di passare a Soundreef perché ti dà, a tuo modo di vedere, un buon servizio pagato poco; nel momento in cui avrai l’impressione che il servizio di Soundreef non è più buono o costa troppo rispetto a quello che vale, tu da un giorno all’altro puoi ritornare con la Siae. Semplice. Gli accordi sui diritti si sviluppano anno per anno, è proprio una via obbligata che sia così: di conseguenza il rischio è minimo. Non sei più soddisfatto? Hai dei problemi? Torni liberamente a dove stavi prima. Quindi ecco, questa polemica, questo discorso sull’”ente privato”, sul profit o no profit, è davvero una cosa che non ho mai capito, mai. Mi è sempre sembrata una discussione più ideologica che pragmatica, un po’ come quando si parla di immigrazione. Se discutiamo di qualcosa, vogliamo farlo nel concreto? E allora dico che all’artista, nel concreto, non interessa se tu fai o non fai profitto, a lui interessa quando gli arrivano i soldi, quanti gli arrivano, come sono rendicontati i suoi guadagni, quanto gli costa il servizio. Punto. Fino a quando l’artista avrà risposte soddisfacenti su tutto questo, rimarrà; nel momento in cui non lo sarà, avrà facoltà di cambiare. Poi guarda, fammi dire un’altra cosa…


Vai.


Prima, tutti si lamentavano della Siae: era quasi un argomento “da bar”, per i musicisti. Invece di parlare di calcio o di macchine, parlavamo – uso il “noi”, perché anche io avevo provato a fare il musicista, ovviamente con scarsi risultati – di quanto la Siae fosse un problema, un peso, un’inefficienza. Ma era una lamentela fine a se stessa, e che per giunta sapeva di esserlo: nessuno pensava che si potesse avere un mondo con un’alternativa. Capisci? Ora, se ti lamenti, devi sapere di avere invece una scelta: è un passo in avanti oggettivo. E se poi scopri che nemmeno la scelta alternativa ti soddisfa, puoi comunque sempre tornare indietro. Nessuno te lo impedisce.


Ci sono stati dei momenti difficili nella vita di Soundreef? Momenti in cui ti sei detto “Ma chi me l’ha fatto fare…”?


Oh, tanti. Le nostre fortuna sono state due: avere tanta passione ed essere consci fin da subito che sarebbe stato un percorso molto, molto lungo. Lungo, complicato, ed anche in cui sarebbe stato necessario avere sempre a disposizione dei piani B se non addirittura dei piani C. Ecco: queste due cose ci hanno tenuto in piedi. Non abbiamo mai pensato che sarebbe stata un’avventura semplice, non abbiamo mai pensato che sarebbe stata un’avventura fattibile con pochi soldi, non abbiamo mai pensato che non saremmo stati mai costretti a rielaborare le nostre strategie di fronte ad un’emergenza – cambiare pelle è sempre stata un’opzione. Sono queste le consapevolezze che ci hanno salvato nei momenti difficili. E ce ne sono stati, di momenti difficili. Uno per eccellenza è stato a marzo 2017, quando avevamo dalla nostra già 7/8.000 iscritti, ed era stata fatta una legge con l’esplicito obiettivo di buttarci fuori dal mercato. Perché vedi, si parla tanto di start up, di innovazione, di giovani… noi avevamo dipendenti tutti contrattualizzati a tempo indeterminato, abbiamo sempre assunto su territorio italiano (ora poi siamo addirittura fiscalmente completamente italiani)… e in tutto questo, tu cosa fai? Spendi il tuo tempo a cercare di uccidere questo progetto? Creando una legge che aveva praticamente scritto sopra “Questi devono morire”? E perché fai tutto ciò? Non si sa. Soundreef era una start up, nata con 85.000 euro di capitale, senza nessuno dietro, che poi ha recuperato finanziamenti puliti, e tutti da investitori italiani, non da scatole cinesi ma da persone che puoi chiamare per nome e cognome, una per una, e che hanno già una storia importante. Si inizia, si va avanti, si fa un bel percorso, i primi artisti importanti iniziano a darti fiducia, le cose iniziano ad andare bene e tu… che fai? Perdi tempo ed energie per cercare di ucciderci. Non ce lo saremmo aspettato, credimi, ma proprio da quanto la cosa era insensata. Abbiamo avuto dei momenti di vero sconforto. Per fortuna, in Italia ci sono comunque persone perbene che guardano ai fatti in maniera oggettiva e, dopo sei mesi, siamo riusciti a ribaltare la legge. Dal primo gennaio 2018 è iniziata, ufficialmente, la liberalizzazione del mercato.


Ricordo una intervista di Filippo Sugar, all’epoca in cui era presidente della Siae, in cui diceva che gli autori/editori iscritti da voi erano in realtà “finti”, i vostri numeri erano cioè gonfiati artificialmente.


Sai cosa? Avessero speso il loro tempo e le loro energie, ed anche le loro risorse economiche, per migliorare veramente la Siae, in primis dal punto di vista tecnologico, noi saremmo già morti, saremmo già stati estromessi dal mercato. Invece hanno speso tempo, soldi e risorse per parlare male di noi, per screditarci, per chiuderci con cavilli legali, per convincere il campo della politica a precluderci l’operatività. Quella era stata la loro scommessa: bene, spero che abbiano capito che questa scommessa è andata definitivamente persa, e che forse la strategia migliore è invece assumere finalmente più ingegneri e lavorare molto sul prodotto dal punto di vista tecnologico, in modo da offrire un servizio sempre migliore. In questo settore, credimi, gli ingegneri sono il ruolo più importante, sono la chiave. Se devo trovare il modo per far arrivare nel tempo più breve possibile e nel modo più preciso i soldi da un broadcaster ad un autore/editore, la prima chiave per capire come fare è ingegneristica. Sono gli ingegneri, è la parte tecnologica a dover essere al centro dell’architettura. Eppure, guardo a molte collecting society e spesso non vedo nell’organigramma nemmeno un ingegnere. Davvero mi chiedo: ma nelle riunioni, voi, di cosa parlate?


Un’altra delle accuse Siae nei vostri confronti è che voi vi siete fatti largo nel mercato solo a suon di costose “campagne acquisti”: alcuni grandi nomi sono approdati da voi solo per i soldi che gli avevate promesso, cioè.


Questa è un’altra grande bufala. Basterebbe saper far di conto. Non mi piace fare differenziazioni fra chi si affida a Soundreef, ma effettivamente diciamo che ormai c’è una sessantina, settantina di artisti molto rilevanti (Takagi & Ketra, Sfera, Gué Pequeno, Marracash, ovviamente Fedez, Charlie Charles, Federica Abbate… ecco, quella di Federica è una storia bellissima, in un mondo ancora troppo maschile lei fa numeri eccezionali, ed ha solo 27 anni). Come fai a dare soldi extra, e magari anche tanti, a sessanta, settanta artisti? I conti non tornano e non potrebbero tornare mai. Quello che noi facciamo è al massimo lavorare sugli anticipi, calcolati sullo storico dell’artista. Tutto qui. Niente di strano. E poi, parliamoci chiaro allora: o siamo speculatori che pensano solo al guadagno, e allora non si capisce perché regaleremmo soldi in giro; però poi veniamo accusati di regalarli davvero, i soldi… Delle due, solo una! Scegli in che modo accusarci, ma scegline uno (ride, NdI). Devo dire che sì, all’inizio un po’ di problemi per queste voci messe in giro su di noi ci sono stati, ma poi la gente ha ragionato di testa sua. Che poi guarda, tutte queste speculazioni a margine possono interessare l’ottentenne seduto in consiglio d’amministrazione che non ha altro di cui occuparsi, e che non ha idea di come funzioni il mercato oggi come oggi, ma quando vai ad affrontare il nocciolo della questione con un artista la cosa è molto semplice: cosa offri? Che servizio mi dai? Quanto vale?


Domanda: è più difficile “conquistare” i diritti editoriali di un grande nome dell’hip hop o, invece, di un artista “storico” come Giancarlo Bigazzi, uno dei più popolari autori del pop-rock italiano (vedi alla voce “Gloria”, o “Si può dare di più”…),  un vostro “acquisto” che devo dire mi ha molto colpito…


Sicuramente è più difficile con Giancarlo Bigazzi. In effetti con gli artisti di area hip hop il nostro vantaggio competitivo può apparire molto chiaro: le loro fonti di ricavo sono soprattutto on line, la radiofonia e i concerti live, la ricostruzione del flow dei diritti è quindi molto chiara. Con Bigazzi, che ha un repertorio sconfinato, che parte dal 1978 e che soprattutto è assolutamente trasversale come circuitazione, con utilizzazioni anche in contesto molto marginali come che so degli anonimi piano bar di provincia o come semplice musica di sottofondo, è complesso. Ma in questo siamo già stati “allenati” da Takagi & Ketra, perché anche il loro repertorio ha avuto nel tempo una diffusione molto trasversale. In questi casi noi per primi vogliamo essere sicuri di poter offrire un buon servizio, perché sarebbe un grande autogol acquisire un catalogo importante e poi non fare un buon lavoro. Anche aver preso il catalogo di Maurizio Fabrizio, un altro autore molto importante (“Almeno tu nell’universo”, per dire), è stato un bell’impegno; ed era ancora il 2017. Resta una cosa curiosa…


Quale?


Un settore in cui facciamo ancora fatica ad entrare è quello dell’indie italiano. E non so quali possano essere i motivi. Noi abbiamo dimostrato di poter fare bene nel pop, sull’hip hop, anche come si diceva ora con alcuni cataloghi storici; eppure, tutta la scena indie è come se avesse paura di cambiare, continua ad essere affezionata al modello Siae.


C’avete provato, però, a fare campagna acquisti da quelle parti.


Sì, certo. Ci abbiamo provato. Abbiamo anche delle buone amicizie, in quel settore, abbiamo anche fatto svariati incontri. Ma è come se ci fosse sempre un senso di “paura”. Senso che invece nella scena hip hop manca completamente: perché lì l’attitudine è proprio affrontare le cose, voler capire; non curarsi minimamente di quanto può esserci stato in passato, ma pensare solo a cosa ti conviene di più nel qui&ora. Devo dire che interagire con gli artisti hip hop e i loro management è stato particolarmente piacevole e stimolante. Sono davvero molto attenti ai dettagli. Spesso, nella musica, hai a che fare con realtà che ti dicono “Allora, io ricevo 50.000 euro all’anno”. Se io rispondo “Bene, ma secondo te potrebbero essere di più?”, di solito ti senti dire “Boh, non lo so, quelli mi arrivano, non chiedermi altro”. Nella scena rap, non va così. Vogliono capire. Voce per voce.


E se non gli va bene?


Si alzano, e se ne vanno.


La classica domanda finale che si fa agli artisti nelle interviste banali è: piani per il futuro? Ma voi non siete artisti, e nel vostro caso potrebbe essere una domanda non scontata…


Lo dico sempre a tutti, sia investitori che artisti che altri addetti ai lavori: eravamo talmente indietro, nell’industria musicale per quanto riguarda il mercato dei diritti d’autore, eravamo talmente inefficienti, che ancora ora che sono stati fatti molti passi in avanti siamo ancora al 20% di quello che si potrebbe fare davvero. Dobbiamo arrivare ad un pagamento che sia istantaneo, sulla base di dati che siano al 100% analitici su tutto, senza più zone d’ombra o di approssimazione. Oggi i tuoi diritti derivanti dai play su YouTube arrivano ogni mese? Bene, dobbiamo trovare il modo di farteli arrivare ogni settimana o addirittura su base giornaliera, visto che non ci sono impedimenti tecnici così importanti nella maggior parte dei casi che rendano impossibile questo traguardo. Migliorare ulteriormente è un nostro dovere, un obbligo. Ecco, è proprio qui che faceva danni la presenza di un monopolio: non c’era nessuna spinta a migliorarsi, all’innovazione. Tutti noi abbiamo bisogno di un po’ di competizione: anche l’artista, se ci pensi. Se dovessimo parlare nello specifico di quali sono i lati su cui vogliamo lavorare adesso per evolverci, questa intervista dovremmo farla durare altri tre giorni. Una cosa ti posso dire: questa fase pandemica ci ha aiutato. All’inizio, come è successo per tutti, ci ha molto, molto preoccupato: abbiamo visto un calo del fatturato fino al 50%, venendo ad esempio a mancare tutta l’attività dal vivo. Ma dopo un paio di settimane mi sono detto: “Niente paura, niente basso profilo, niente dipendenti da mettere in cassa integrazione aspettando che passi la tempesta: no, rilanciamo!”. Siamo ancora piccoli, dobbiamo continuare a crescere, quindi questi attimi di attività ridotta possono essere proprio il momento migliore per concentrarci ancora di più, e con maggior efficacia, sulla nostra “to do list”. Nessuno da mandare in cassa integrazione, operatività piena, così quando poi riparte tutto noi saremo ancora più attrezzati rispetto a prima, e rispetto alla concorrenza. Tutto questo con umiltà, con quindi la consapevolezza che siamo ancora al 20% di quello che potremmo fare e dare.


Ma esiste il pericolo di fare il passo più lungo della gamba?


Certo. Assolutamente sì. E devo dire la verità: in alcuni casi, ci è già successo. Siamo dovuti tornare indietro. Abbiamo imparato bene una cosa: è molto importante che la tecnologia venga sviluppata internamente, perché quando viene prodotta all’esterno di solito è prodotta da persone che inevitabilmente hanno una conoscenza limitata delle dinamiche e delle esigenze dell’industria musicale. Magari mette a punto degli strumenti fantastici, ma troppo complicati da usare. Questo tanto per farti un esempio. Tu li metti in campo, ma le persone non li usano, o li usano, o il loro uso comporta un costo maggiore un po’ per tutti. Lì devi avere l’intelligenza di capire quando è il momento di fare un passo indietro, di tornare allo step precedente. La politica migliore è sempre quella dei piccoli passi. Passi continui, quotidiani, costanti. Ma piccoli. Fatti rispettando le esigenze delle persone per cui lavori.

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Autore:
Damir Ivic
Wanderer.

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