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Tedua: "Vita Vera" è il primo canto de "La Divina Commedia"

Dal periodo post "Mowgli" alla genesi di "Vita Vera", Tedua ci accompagna nell'analisi del suo ultimo progetto.

Articolo di
Federico Maccarrone
on
20
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06
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2020

C’è una sottile linea che lega il destino, o quello che noi chiamiamo tale, e l’essere, una linea che connette ogni nostra azione, dandoci la sensazione che l’essere sia per noi, in qualche modo, un dover essere, cioè l’idea che le cose debbano sempre andare in un determinato modo, indipendentemente da quello che concerne la nostra volontà.
È questo il concetto de “L’Insostenibile Leggerezza dell’Essere” di Kundera, che ci fa concentrare su quanto tutto ciò che abbiamo intorno e che facciamo sia in realtà dovuto a fili rossi di scelte nostre e altrui, che si legano indissolubilmente tra loro.


È dove questi percorsi si incrociano che nasce “Vita Vera”, un vivido spaccato di realtà, nato dal cuore pulsante di uno degli artisti che, ad oggi, rappresenta al meglio il frutto di questo intersecarsi di avvenimenti empirici e destino, fino a divenire quello che noi oggi conosciamo come Tedua.

“Vita Vera” è arrivato come un fulmine a ciel sereno, a circa due anni di distanza da “Mowgli”, che oggi tutti riteniamo un instant classic. Come tutti i viaggi che si rispettino, però, il percorso è più importante del traguardo.
Per questo motivo, la prima cosa che chiedo a Mario è cosa sia successo in questi due anni di silenzio.


Lui fa un attimo di silenzio, quasi pensoso, e poi comincia: “Questa è la prima volta che ne parlo e non è facile. Dopo il disco, per la prima volta, ho avuto un periodo post album: ero uscito con “Orange County”, poi “Mowgli”, ho fatto disco di platino e andava tutto bene, però ci sono stati tanti cambiamenti nella mia vita personale e lavorativa, tanta confusione nella scena tra noi colleghi, perché per la prima volta avevamo conosciuto il successo vero, gli interessi in conflitto.
Inoltre psicologicamente ho affrontato la notorietà come non l’avevo mai affrontata, perché mi sono reso conto che mi era stata privata l’intimità, anche solo nello scendere sotto casa a prendere qualcosa da mangiare”.


“Ho avuto da settembre 2018 a giugno 2019 dei periodi sbatti, perché sapevo che dovevo alzare il livello non tanto del mio rap, ma della consapevolezza di Mario, quindi sono cresciuto” continua Tedua “Ho preferito latitare, farmi i cazzi miei, uscendo con un solo singolo. Un’altra cosa che ha forzato molto questo processo è che non avessi uno studio di registrazione di fiducia, perché Chris lo stava costruendo, ma ci sono stati dei ritardi, quindi lo studio è arrivato solo a giugno 2019. Lo abbiamo battezzato con “Elisir”, dopodiché volevo investire tutta l’estate per creare il nuovo disco, ma in realtà il tour me lo ha impedito”.

In questo processo, però, non mi è chiaro se e come si fosse rapportato alla scrittura in questo periodo di limbo, quindi glielo chiedo esplicitamente.
Con estrema sincerità, Tedua mi risponde: “Non ne sentivo la necessità: avevo finito di lavorare “Mowgli” a gennaio e, a livello agonistico, non ero più abituato a stare mesi di fila cinque giorni a settimana in studio. Non ho mai sentito di aver perso il talento o affrontato un blocco dello scrittore, perché sta roba ce l’ho dentro, io son nato per questo. Semplicemente non avevo stimoli”.

“Tra le altre cose” gli dico “il tuo “Orange County”, così come “Mowgli”, ha segnato un’identità molto forte della tua personalità. Ad oggi, come ti rapporti rispetto all’evoluzione che ha avuto il genere a livello di pubblico e approccio in questi ultimi mesi?”.
“L’ultimo periodo del rap italiano non mi è piaciuto” ammette lui “poi è arrivato Marracash e, secondo me, ha portato di nuovo consapevolezza”.

Continua quindi: “Non me la prendo con i rappers, però la nostra wave del 2016 ha stravolto tutto e ha fatto perdere un po’ la rotta al rap italiano, per questo ora è necessario riallinearsi e Marra ha fatto proprio questo. Un esempio sarà il disco di Guè: non l’ho ancora ascoltato, ma son sicuro che spaccherà tutto, perché sa dove vuole andare e cosa vuole rappresentare.

Nel 2018 io non avevo la capacità di dirigere la scena, ma quest’anno, già con “2020 Freestyle”, il pubblico mi ha dato il ruolo di guida: mi limito a contrastare indirettamente il fenomeno del rap superficiale. Per arrivare a impersonare questo ruolo, son dovuto stare due anni fermo”.

Guarda qui "2020 Freestyle":

Seguendo questo concept, mi torna in mente che Future, in un’intervista a The Fader, ha recentemente affermato che il suo unico dovere è la genuinità e, a mio avviso, “Vita Vera” è profondamente intriso di genuinità e spontaneità.

Pensandoci, mi viene naturale chiedergli in che rapporto si trovi oggi con l’importanza della credibilità, che attualmente, forse, per gli artisti e per il pubblico non è più fondamentale.


Lui mi risponde perentorio: “Questa è la mia presa di posizione: keep it real.

Non posso credere in una società rap in cui personaggi pseudo self-made sanno di dire cazzate. Io non nego a nessuno il diritto di sentirsi un eroe sulla base, perché il rap ci permette anche di crearci un alter ego, di essere coraggiosi, però chi vuole usare l’ego deve dare dimostrazione di consapevolezza oppure è una roba falsa, inutile”.

Un attimo di silenzio e poi chiude: “Se non hai né arte né parte, poi non usare la scusa che questa musica è solo intrattenimento, perché la verità è che non sai glorificare il tuo alter ego”.

Il punto di forza del disco è sicuramente la presenza di molti stili, dai due episodi di Lo-Fi che sembrano ricalcare l’outro di “OC” al rap più classic, passando per aperture melodiche. Il mixtape è storicamente anche sperimentazione, ma gli chiedo da cosa sia nata la volontà di creare questo progetto.


“La differenza tra mixtape e album è questa: quando faccio una traccia del mixtape non devo andare in sbatti. Per “Mowgli” in ogni traccia son andato in sbatti, qui mai”, mi dice lui, “Non è un progetto per mettere d’accordo tutti, ma è un progetto fatto per raggiungere tutti: spero che su 22 canzoni almeno 2-3 piacciano a tutti. Io personalmente adoro tutte queste sfumature di me”.

Gli chiedo allora: “E tra queste sfumature, quale pensi sia il tuo brano preferito, cioè quello che, quando lo hai fatto, ti ha fatto dire: “Wow, era esattamente quello che volevo fare”?”.


“Sicuramente “Purple” e “Lo-Fi Wuhan” risponde lui.

Cogliendo il discorso riguardo la traccia conclusiva del progetto, gli chiedo: “In effetti i due “Lo-Fi” sembrano avere proprio la struttura di “Outro Orange County” e anche il mixtape sembra ripercorrere il percorso di “Orange County Mixtape”, anche nel fatto che qui si stia “Aspettando la Divina Commedia”. Da cosa nasce questa scelta?”.


“I “Lo-Fi” rappresentano proprio l’intro e outro di “Orange County”, ma in una nuova chiave di lettura. Poi mi piaceva troppo l’idea di spezzare il mixtape, che figata è?” mi dice ridendo, e continua “Era difficile trovare un concept album dopo “Orange County” e “Mowgli” e allora ho scelto “La Divina Commedia”, perché è un immaginario collettivo sia per chi è un classicista sia per chi ha mollato la scuola in prima superiore”.

Sempre in “Lo-Fi Tu”, si fa riferimento al fatto che Genova abbia limitato la sua arte, mentre Milano gli ha permesso di affermarsi appieno, quindi gli ho chiesto in cosa avesse avvertito questa differenza.
“In realtà Cogoleto, più che Genova” ammette lui: “Concretamente, nessuno conosceva i Dogo, ascoltavano solo la techno, nessuno sapeva cosa fosse un’Air Force 1. Tutte le province italiane, prima del boom del rap e dei social media, limitavano il rap, perché non c’erano studi, non c’era pubblico, ma il pubblico era fatto da altri rappers. Milano e Roma erano le realtà più aperte.

A Genova c’era una forte identità territoriale, ma poco definita e spesso delimitata. Questa cosa ci aveva tarpato le ali”.

Ascolta qui "Lo-Fi Tu":

Prima abbiamo descritto l’annuncio come un fulmine a ciel sereno, e la prima luce di questo lampo è nata proprio dal video pubblicato da Tedua su YouTube, in cui l’artista ripercorre la sua vita e la sua storia, mettendo al centro di tutto il viaggio e la malinconia di quei momenti. Tenuto conto di questo, forse la parola adatta a descrivere il progetto è proprio “nostalgia” e gli chiedo cosa ne pensi a riguardo.


“Sì, mi andava di raccontare parte di quello che ho vissuto, ma ho cercato di approcciarmi nel modo più professionale possibile, senza lasciarmi trascinare” dice lui,

“Il mixtape in sé è molto nostalgico, però io ho questa tendenza a fare del rap fine a se stesso. Sarebbe da evitare: quando dai consigli a un rapper emergente, magari glielo dici che fa un rap fine a se stesso, è come dirgli che a volte rappa cose di cui non me ne frega un cazzo”

Poi ammette: “Io ho la fortuna che il mio rap fine a se stesso, oltre che la mia metrica e la mia attitudine, piaccia a molti, che fortunatamente riescono a immedesimarsi nelle mie storie”.

Gli chiedo quindi come si sia approcciato alla creazione del mixtape, e Tedua rivela: “Sono un po’ arrogante, lo ammetto, ma questo progetto è forte perché è spontaneo, è sporco, non è pulito. Io son un po’ stranito verso chi non è fan del rap italiano: se non hai mai ascoltato “Street Opera”, il tuo cervello non sarà abituato a sentire le mie rime.

Io non so che cazzo capisca della mia musica chi non ascolta rap: io sono un fanatico del genere, mastico rap, quindi capisco e apprezzo davvero sta roba”.

Sul fine del progetto, invece, mi dice: “Il mixtape, per me, è una seduta psicologica: dopo due anni di pausa, creare 22 canzoni di cazzi miei è un modo per sfogarmi e capirmi. Se è vero che faccio rap fine a se stesso, è vero che sto proponendo il telefilm della mia vita. Ho parlato tanto in sto disco, credimi che potevo parlare anche di più, ma voglio tenere cartucce per l’album”.

Eccola qui, infine, la fantomatica “Divina Commedia”, il disco di cui "Vita Vera" rappresenta il preludio e l'apertura. Quindi gli chiedo cosa possa dirci su questo secondo progetto ufficiale.
“L’album, ovviamente, sarà molto più forte” esordisce lui “Sfatiamo ‘sto mito che l’album è già pronto: non è già pronto. Se fosse già pronto, invecchierebbe. Ti dico solo una cosa: l’album sarà mainstream, perché il mio trip è di creare musica street mainstream” conclude.

“Tra le altre cose, nel disco rappi molto, anche in un modo più classic, come nel pezzo con Massimo Pericolo” gli dico io.


“Ho ascoltato un sacco di rap old school durante la creazione del mixtape” completa lui.

Ascolta qui "La Story Infinita" con Massimo Pericolo:

Rimanendo sulla linea della sua risposta e alla sua dedizione verso le sacre scuole del rap italiano, Tedua ha sempre mantenuto un riguardo particolare per Dargen D’Amico, quindi gli chiedo in che modo si sia sentito influenzato dal rapper milanese.


Con Dargen è come Kid Cudi e Travis Scott” dice lui, e già questa frase basterebbe a descrivere il tutto, e continua “Lui non è che mi ha influenzato, è che io ho sempre provato a copiarlo, finché non ho creato il mio stile. In parte sono suo figlio” si interrompe e conclude ridendo:

“Io non sono un classicista come lui, io sono più sporco, anche Dargen lo sa”.

Ascolta qui "Purple", che riprende il ritornello di "Commo Una Troia" di Dargen D'Amico:

In conclusione, “Vita Vera” ha mantenuto tutto il peso specifico di una seduta psicoanalitica, nata dalla genuina quanto liberatoria volontà di voler dare voce al proprio buio, alla propria necessità di esprimersi.

Nel pensarci, dopo l’intervista, mi torna in mente un’altra frase di Kundera: “La pesantezza, la necessità e il valore sono tre concetti intimamente legati tra loro: solo ciò che è necessario è pesante, solo ciò che pesa ha valore”. E “Vita Vera Mixtape” ha un peso specifico inquantificabile, perché nasce dal vissuto di chi quei sentimenti li ha vissuti e interiorizzati.


“Vita Vera” è anche e principalmente accettazione e abbraccio di se stessi e della propria malinconia.
Per questo, forse, ancora mi sorprendo a pensare alla fine dell’intervista, quando, alla domanda “Cosa diresti al te bambino e ragazzo che vediamo nel video che ha annunciato il progetto?”, lui, con una sincerità disarmante, mi ha risposto semplicemente “Gli direi solo di farsi condizionare meno dalle critiche della massa, nulla di più”.

Ascolta qui "Vita Vera Mixtape - Aspettando La Divina Commedia":

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Autore:
Federico Maccarrone

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