Perché il rap è una maratona. L'intervista.
L’usignolo ha ricominciato a volare. O forse ha cominciato a volare davvero per la prima volta.
Per cogliere la prospettiva di questo quadro, serve fare qualche passo indietro e capire quanto il percorso di Ernia sia stato sui generis e diverso rispetto a quello dei suoi colleghi.
Il rimettere la scrittura al centro e lo scegliere un suono e un immaginario che non seguissero la wave, conditi dal non accomunarsi eccessivamente alla famigerata “scena del 2016”, sembrava un’attività anacronistica in un mondo come quello di 5 anni fa.
Ma, parafrasando Nipsey Hussle, il rap è una maratona, in cui ciò che conta è essere longevi, non essere il fenomeno del momento.
A pochi giorni dall’uscita di “Gemelli (Ascendente Milano)”, mi sento nella possibilità di dire che non si possa negare che questa scelta abbia ampiamente ripagato Ernia della pazienza e della visione, ma ciò che mi colpisce di più sono la lucidità e la coscienza con cui parla di sé e della sua carriera.
Il successo è il primo argomento di cui vorrei parlare con lui, perché il rapporto con la notorietà tende sempre a deformare il rapporto dell’artista con il pubblico e l’immagine che l’artista ha di sé. “Quali sono i lati positivi e quali quelli negativi di questo nuovo successo?” gli chiedo.
“È strano da dire” esordisce lui “perché dopo “Gemelli” ho fatto un anno assolutamente in positivo. D’altra parte, però, questa situazione di pandemia ha fatto sì che io non me ne accorgessi realmente. Per me tutto questo è stato un fenomeno di Internet. Poi non è che dici ho fatto concerti, ho fatto grandi spostamenti, mi sono accorto, ho sentito la presenza effettiva delle persone” e ride “Anzi sai, stando a Milano, qui chiedono molto meno le foto in giro, a Milano si è più abituati a vedere artisti in giro. Quindi questo successo al momento mi fa vivere nel modo più tranquillo possibile”.
Mi ricollego proprio a questo punto per sottolineare una citazione di Ernia nel nuovo repack: “Tra qualche mi rinnegherà chi ora mi acclama, passerò dal manico ad aver contro la lama”.
“È sempre così, perché è biologico. Sai, io me lo auguro, però difficilmente farò una carriera alla Guè, alla Marracash, alla Fabri Fibra, capisci?”
Gli chiedo il perché ne sia così convinto.
“Sono altri tempi, è diverso” mi spiega lui “Loro comunque hanno fatto una buona parte di carriera che era veramente solo per la nicchia. Nel momento in cui hanno espanso la loro fanbase, i nuovi fans acquisiti non si erano vissuti tutti gli anni prima, quindi potevano ancora stupire. Questa cosa ha dato uno stimolo a loro, ha dato un nuovo stimolo ai Guè, ai Marra, ai Fibra di continuare a produrre perché queste persone non li conoscevano” poi continua:
“Anche il nostro arrivo, l’arrivo dei giovani. Noi siamo stati una scena, quella del 2016, anche abbastanza varia dalla quale attingere, dalla quale imparare in un certo senso. Questa cosa è stata molto stimolante per i vari Marra, Guè e Fibra. Il fatto di aver fatto molti anni senza soldi, perché in questo ambiente non c’erano soldi, li ha fatti vivere più a lungo. Gli ha fatto vivere una quotidianità un po’ più comune a quella di tutti, molto più che a noi. Io comunque ho iniziato a fare questo lavoro a tutti gli effetti che avevo 23 anni, ora se ci penso dico che, cazzo, ero giovanissimo. Quindi il rischio è sempre quello di chiudersi in una bolla. Io poi scappo da questa cosa proprio per paura, perché, sai, noto anche che i miei colleghi, quelli della mia età, son chiusi in una bolla. Escono, studio e poi non vivono. Vivi in una star room che a volta è nella tua testa, solo una cosa immaginaria”.
Era esattamente questo che intendevo, quando gli ho chiesto di parlarmi del suo rapporto con il successo. “Io cerco invece di scappare da questa cosa, perché, osservando tutti i più grandi, dico “Cazzo, loro hanno vissuto più di noi”. Noi abbiamo una fortuna che è quella di avere e aver avuto da giovani un ottimo potere economico”.
“Te lo dico perché, se viaggio, se vado da un’altra parte, io posso vivere appieno la quotidianità senza chiudermi in una bolla. Poi siamo stati sfigati perché è successa la pandemia è saltata la mia stagione dei viaggi”.
Questa non me l’aspettavo: “Dove vuoi andare?” gli chiedo.
“Ma guarda: l’anno scorso è stato una barzelletta, perché io ho detto consegno il disco e parto” e scoppia a ridere: “Voglio troppo andare in Iran, e questi iniziano a minacciarsi con gli USA, quindi dico in Iran meglio di no. Mi dico che vado in Marocco, che è più vicino e più alla portata. Avevo già fatto la Tunisia, avevo già fatto l’Egitto. Breaking news: no, non si può uscire dall’Italia per il Covid” e ride.
“Allora poi volevo andare a Napoli: ho consegnato il disco l’8 marzo 2020 e il 9 marzo hanno chiuso tutti in casa. Infatti no, adesso in realtà sto provando a vedere per l’autunno stravolto totalmente, poi un anno e mezzo per vedere per l’Africa, andare a fare il Kenya” conclude lui.
La mia percezione è che l’anima del repack di “Gemelli” sia inclusa in “Scegliere Bene”, che affronta diverse tematiche di cui mi piacerebbe parlare con Ernia.
La prima questione è quella dell’invidia, un sentimento che molti tendono a categorizzare come un sentimento assolutamente e indissolubilmente negativo, ma è davvero così?
A questo quesito mi risponde: “Vedi, parlavamo prima dell’importanza del guardar gli altri. È una caratteristica assolutamente umana guardare in alto e sentire un’invidia positiva, che ti faccia dire “Cazzo, guarda che stile che c’ha lui, che traguardo” e ti sproni a migliorare, perché quello lo vuoi anche tu. Prima parlavamo dei grandi, sono riusciti ad essere nella generazione giusta e vivere diverse epoche dell’hip hop, un po’ li invidio. Poi c’è l’invidia negativa, quella tossica”.
Però specifica “Però, sai, l’invidia ti porta ad osservare, con intelligenza se non ti fai accecare dall’invidia, ti porta ad osservare. Io guardo un altro e mi chiedo “Come ha fatto lui ad essere lì, come posso io provare ad emularlo?”. I suoi portamenti, le sue mosse anche. La gente pensa sempre che noi dobbiamo essere dei mezzi geni. Ogni tanto mi viene qualcuno e dice “No, perché questo l’ha già fatto un altro rapper”. Grazie al cazzo: l’ho guardato e l’ho ripetuto, proprio perché è stata vincente”.
Questo livello di coscienza, che fa dichiarare di ispirarsi anche a altri artisti è una dichiarazione che ritengo molto matura. Quando glielo faccio notare, mi dice:
“Ti mentirei altrimenti: “La prima volta” è “Wet Dreams” di J. Cole. L’ho vista e ho detto “Perché è diventata una hit?”. Perché tutti si rivedono nel pezzo, perché tutti ne hanno una da raccontare. Tutti ce l’abbiamo è una cosa comune. Penso che nessuno in qualsiasi ambito creativo parta dal nulla”.
Poi riprende: ”A volte veramente vedo 14enni che ti saltano alla gola per il nulla. Pensano che sei in quella posizione perché hai barato, è un’idea molto italiana: se ce l’hai fatta chissà che hai fatto, chissà chi hai inculato”.
“In fondo c’è una totale mancanza di autocritica: quando le persone non ce la fanno non dicono “Ma che sbaglio io?”. Anche nella musica, ad una certa, dopo che ho cercato di scaricare sul mondo le mie disgrazie, mi son detto: “Ma io cosa sbaglio?”. E allora è lì che inizi a farcela. La maggior parte delle persone non pensa questo, ma piuttosto “Gli altri ce la fanno e io no? Io sono un fenomeno, sono gli altri che hanno barato”.
Ascolta qui "La Prima Volta" di Ernia:
Nella chiusura di “Di Notte”, inoltre, Ernia evidenzia un’altra dinamica, cioè quella della delusione dell’usignolo che ha preso il volo, che nelle sue idee era migliore di quello che concretamente è. Metaforicamente, il prendere il volo è aprirsi al mondo della musica di oggi.
“Più che delusione, in realtà è proprio il mio approccio alla cosa, che poi arrivi... è un po’ la mia solita roba dello spleen. Raggiungi l’obiettivo e ti dici “Tutto qui?”. Allora devo ricominciare, devo correre al prossimo traguardo. In realtà è il processo che porta al successo, il vero successo: non è l’ultimo gradino, non è arrivare a quel piano. È la scalata, le emozioni che provi durante, le ansie, le paure, l’essere eccitati, gasarsi in studio. Quando esce un album poi io il mio lavoro l’ho fatto, anzi ai miei occhi molto spesso è già vecchio. Sto già pensando ad altro, ma da un pezzo. Quindi ecco, è il processo il vero successo. È il veder realizzarsi il processo più che presentarlo, che vivere il dopo”.
“Quindi il prossimo traguardo qual è?” gli domando.
“Guarda non lo so. Più si andrà avanti più si complicherà la cosa” ammette lui “Ci sarà sicuramente il consolidarsi. Sai secondo me la mia generazione adesso sta correndo verso il portale. Per chi rimane fuori è finita, oggi basta che fai due dischi sbagliati e devi cominciare da capo”.
Gli domando se percepisca ansia in questo.
“No, perché in realtà più mi sono sbattuto, più mi sono ansiato, più ho sofferto la cosa e non ho ottenuto quello che volevo. Andavo in sbatti, guardavo quello che scrivevo alla gente, cosa pensavano cosa volevano”.
Un momento di silenzio e poi lapidario mi dice: “Quando ti chiedono una cosa, quando ti sembra che il pubblico voglia qualcosa, se tu gliela dai hai perso su due fronti: su un fronte artistico, ma soprattutto alla fine non ti ripagheranno mai di quella cosa lì”.
Poi continua:
"Hai presente pezzi come “No Hooks” e “Come uccidere un usignolo”? Non li farò mai più. Ho 7 anni in più quasi, a fine anno ne faccio 28. “No Hooks” è speciale proprio perché l’evoluzione rende speciale anche quello che c’è stato prima. Se io fossi rimasto a “No Hooks”, ci sarebbe stato qualcosa che non andava e la maggior parte delle persone si sarebbe annoiata, non sarei qua ora”.
“Mi sono evoluto e la mia evoluzione mi ha portato a questo. Se avessi fatto 4 album come “No Hooks” mi avrebbero mandato a fanculo tutti. Ma giustamente anche” e scoppia a ridere.
Ernia sottolinea anche che un uccellino nato in gabbia pensa che volare sia una malattia.
“Qual è stato l’elemento che ha permesso a quest’usignolo di ricominciare a volare?”, gli chiedo.
“Ogni volta che un obiettivo veniva raggiunto, ma non si dimostrava mai come era. Ogni volta però è rincorrere la felicità, esser convinto che dietro determinati obiettivi si racchiuda la felicità, quindi rincorrerla” mi dice.
“In realtà ora, dopo 3-4 dischi l’ho scoperto che non sta nei risultati dei dischi. Però mi dà un qualcosa per cui svegliarmi la mattina, le cose stanno andando bene quindi super gasato, felice. Poi sai sono arrivato ad un punto tale che lo streaming va bene, ma non si ferma lì, alla fine ho coltivato negli anni un determinato pubblico che vuole avere i miei dischi, io vendo benissimo il fisico. Ovvio voglio crescere ancora, voglio fare musica che arriva a più gente, ma quello penso che sia l’obiettivo di tutti. Però son stimolato, magari poi l’obiettivo non coincide con la felicità però ti stimola ad andare avanti”.
“Scegliere Bene” evidenzia anche un rapporto tra le nuove e le generazioni delle precedenti decadi, in cui l’amore sembrava essere eterno, con un matrimonio che spesso dura tutta la vita. Oggi è tutto diverso, ma come si rapporta rispetto alle relazioni e all’amore oggi Ernia?
“In questo momento sono tranquillo, sono fidanzato da un anno e mezzo e ti dirò son proprio sereno. Non pensavo fosse un traguardo raggiungibile da parte mia, perché appunto se sto fermo soffro. Secondo me viviamo con un problema di fondo, da un lato abbiamo il mondo che cambia, dall’altro l’esempio dei nostri genitori che è totalmente diverso da come viviamo noi le relazioni, cioè i miei genitori si sono conosciuti che avevano 15 anni e sono stati insieme tutta la vita capito?”
“Io quando mi sono fidanzato a 15 anni già sapevo che quella non sarebbe stata la donna della mia vita, già di partenza il primo giorno. Il mondo è cambiato ma noi abbiamo un esempio che è quello dei nostri, ma è più facile nella generazione dei nostri genitori trovare delle coppie davvero durature e decennali”.
Poi analizza un elemento a questo connesso: “Dall’altra parte abbiamo un’idea distorta secondo me dell’età e della relazione duratura. La maggior parte di noi pensa che se fai famiglia è finita la vita. L’altro giorno ero a casa di amici che hanno appena avuto un bambino e raccontavano che per loro ad esempio non è assolutamente così”.
“C’è questa visione distorta che nel momento in cui hai un bambino, hai finito di vivere per te e inizi a vivere solo per lui. Metti da parte i tuoi obiettivi, le tue ambizioni, le tue passioni, invece non è così. Guarda il pubblico del rap italiano, il pubblico del rap italiano pensa che superati i 30 basta, capisci? Ma questo deriva da una questione culturale, guarda in America quanti rapper hanno superato i 30 e hanno un figlio. Eppure continuano a fare la loro roba, J. Cole ha un figlio, anche rapper molto giovani hanno figli, è l’evolversi della vita, è quello che succede, siamo tutti figli. La maggior parte di noi pensa, oltre il rap italiano, che se hai un figlio, allora è finita”.
Poi inizia con un’altra osservazione: “Si pensa poi che superati i 30, 35 devi essere a posto, devi essere realizzato perché è finita la vita. A quell’età devi aver famiglia, devi già smettere di “vivere”. E questa cosa spesso colpisce anche me, dico “Aspetta un secondo: come cazzo si fa adesso?” Però è una visione distorta che abbiamo tutti. Quando avevo 17 anni pensavo che i 30enni dovessero essere realizzati e dovessero essere finiti, fatti. Invece io ne ho 27, mi mancano 3 anni a 30 eppure mi accorgo che c’è ancora una valanga di cose da fare”.
Ascolta qui "Scegliere Bene":
“Come procede con i macigni di “Cigni”?” gli chiedo a bruciapelo.
"Son molto migliorato da quando ho scritto “Cigni”. Io ho avuto proprio un momento che ho toccato negli Stati Uniti. Siamo andati là a settembre 2019 quando ancora la vita era bella, siamo andati negli Stati Uniti e il mio manager, Ciro, mi ha detto “Te sei incredibile perché sei stato per la prima volta negli Stati Uniti, sia a Los Angeles che a New York, e non hai chiesto di vedere niente” e li ci sono rimasto male e mi son detto “Cazzo, c’è qualcosa che non va, sto sbagliando qualcosa, è come se avessi perso l’interesse per qualsiasi cosa. Perché son cose che non si muovono, che non mi smuovono”.
““Cigni” è un pezzo sull’apatia, sul non emozionarsi, no? In famiglia siamo molto quadrati, molto austroungarici, non ci si smuove tanto. A questa cosa si è aggiunta il fatto che io non mi emozionassi, è andata a peggiorare. Io sono abbastanza impassibile. Ce è davvero difficile che io mi emozioni.”
"E adesso?”, gli chiedo.
“Ora son molto migliorato, in confronto ad un anno e mezzo fa sono un’altra persona. Ci sono dei momenti in cui provo anche commozione, magari ascoltando la musica. Non so se hai presente Ludovico Enaudi. Lui suona io mi commuovo, non piango ancora, ma è un inizio, no?”
“Anche venendo da un lungo periodo di apatia, sento la commozione, la catarsi, il sentimento catartico, ci son delle cose belle che io adesso riesco ad apprezzare, dalle quali riesco a farmi coinvolgere, però non sono ancora così in là che piango. Per fortuna che son migliorato, questa sensazione è brutta perché tu poi vai ad accumulare anche piccoli rancori, piccole sofferenze, piccoli dispiacerti, tu li accumuli tutti dentro, è un forte stress”.
Poi mi spiega: “È arrivata proprio la consapevolezza di questa cosa dopo che me l’han fatta notare. Prima lo dicevamo ridendo, poi, quando le persone intorno a me me l’hanno detto come sconsolati, io mi son sentito quasi in colpa”.
Mi racconta anche l’importanza e il fine dell’esprimersi: “Io alla fine faccio un lavoro per cui creo qualcosa che deve essere coinvolgente, emotivamente. Almeno nel mio caso, se non mi emoziono io per primo, come faccio a far emozionare gli altri? Poi non so io non voglio fare, per quanto in tanti mi abbiano frainteso, quel rap didascalico che ti ispira come vivere, non mi frega un cazzo. Tanti mi hanno frainteso negli anni, non voglio fare quella roba lì, pedagogica. Non voglio insegnarti niente. Anche perché nel momento in cui vuoi insegnare qualcosa e poi non rispetti tu quegli insegnamenti fai solo la figura del coglione. Io non voglio insegnare proprio un cazzo”.
Un altro elemento importante, se non fondamentale, del percorso di Ernia è stato il tempismo: il ritorno di Ernia è coinciso con la rivoluzione del 2016 nel rap italiano.
“Io sono della generazione “Bimbi”, senza essere un bimbo” ci scherza lui.
“Questa è la definizione adatta” gli dico ridendo “Volevo capire con te se e quanto ti sia pesato ai tempi non essere presente all’interno di quell’onda. D’altro canto, col senno di poi, ti rendi conto che determinate scelte che inizialmente ti potevano sembrare delle cazzate, magari poi ti hanno dato il la per diventare quello che sei adesso?” concludo.
“Beh sicuramente mi ha pesato, però dall’altra parte un po’ non mi ritrovavo in quel mondo musicale, un po’ non volevo neanche sai, c’è stato un momento in cui erano tutti a farlo e quante teste son saltate? A me era già saltata la testa una volta, io sapevo che le teste saltavano lo avevo già provato. Quindi io in realtà era consapevole del fatto che non dovevo unirmi, stavo facendo un altro lavoro”.
“Ci ho sofferto eh, non pensare, perché tante volte pensi: “Cazzo, questi qua fanno molto più di me, ma come è possibile? Non mi sono sbattuto abbastanza in questo testo? Non mi sono sbattuto abbastanza in questa canzone? In questo album?”
“Però dall’altra parte ero consapevole di quello che stavo facendo, di come stanno le cose. Ci son dei cicli e quello del 2016 era il trend del momento. Quante persone son salite sul carrozzone del trend, guidato da Sfera e poi non ne stiamo più parlando da anni? Io me ne son volutamente scostato”.
“Anche persone con molto talento. Questo ad indicare che il talento non basta. Tante persone pensano “Quello ha meno talento, quindi meno possibilità”. Beh, quello che ha meno talento magari ha testa. Non basta avere talento, questo non è un gioco a chi ha più talento. Quanti bambini son forti a giocare a calcio adesso nelle scuole calcio? Ce ne son centinaia di migliaia nel mondo, potenzialmente ci sono centinaia di migliaia di Cristiano Ronaldo in questo momento nel mondo. Quanti riescono a diventare Cristiano Ronaldo? Solo due-tre forse”.
“Perché è anche una cosa di forma mentis, è una cosa del sapere quando agire. Per fare questo lavoro devi avere una forma mentis particolare. Oggi i ragazzetti pensano che fare sto lavoro sia una cazzata e si son buttati tutti a farlo. Prima sognavano di fare i calciatori adesso fanno questo perché pensano che sia soldi, successo e donne e puttanate varie. Ma serve una certa disciplina anche con sé stessi, non solo quello che fai in una giornata. Tante persone erano talentuosissime, erano molto più talentuose di tanti di noi che invece son rimasti e hanno continuato” conclude.
“Quale pensi sia stata la tua caratteristica che ti ha permesso di rimanere?” gli chiedo?.
“Beh, io non mi sono mischiato. C’è stato un momento in cui tutti avevano denti d’oro e tutti avevano gli stessi brand addosso, perché poi tutti hanno avuto la patologia di Sfera Ebbasta ad un certo punto. La hanno, senza essere Sfera Ebbasta, questo è un problema. Se spendi e spandi e il tuo contratto ti permette di fare giusto quello che stai comprando c’è qualcosa che non va, un lifestyle che non potete assolutamente permettervi.
“È una questione di educazione, secondo te?” domando.
“È una questione di educazione finanziaria. Io sto parlando proprio del fatto di creare un immaginario attorno ai soldi, no? E io da quella cosa mi sono distaccato di brutto. Che comunque un ragazzetto che si avvicina, non un ascoltatore del rap, uno che si avvicina da fuori e guarda la generazione del 2016, viene sorpreso dagli opposti, che balzano agli occhi”
“Ti balzerà sempre all’occhio, poi può piacerti e non piacerti. Però immagina di averci avanti visivamente, è ovvio che ti balzano all’occhio i due estremi, sono due persone totalmente diverse. A me ha ripagato sta cosa qua perché poi io ho attratto tutte quelle persone che non si rivedevano in Sfera Ebbasta. Io dicevo “della trap sono l’alternativa”, col tempo si è dimostrato così effettivamente. Io ho attratto tutti quelli che non si rivedevano nella generazione 2016, perché la generazione 2016 che è stato fino a poco tempo fa, è stata un rincorrere Sfera Ebbasta. Quindi anche agli occhi di uno che non ascoltava rap e diceva “Mettiamoci ad ascoltare questa roba” diceva “O Sfera Ebbasta o chi?”” conclude.
Nel sottolineare gli elementi che hanno decretato il suo successo, continua: “Poi in parte lo scrivere mi ha salvato. Non sono cose appunto tecniche, ci sono mille ragazzetti o gente della mia età che scrive molto meglio di me. Poi è stata una caratteristica, ma non è proprio quella. È come ho utilizzato io la scrittura. Vedi anche banalmente osservo J. Cole e ha funzionato perché è una sensazione di tutti. Un’esperienza in cui ci si possono rivedere. È anche un gioco di intelligenza”.
All’interno del disco gli ospiti del repack sono, oltre a Sfera e Carl Brave e i Pinguini Tattici Nucleari, i 2Rari. Gli chiedo quando li abbia conosciuti e da dove nasca la scelta di inserirli nel disco.
“Io li ho visti la prima volta un annetto fa, avevano vinto un contest di Red Bull e Skinny li ha pubblicati. E già visivamente erano diversi e io ho detto “Beh, i tipi son se stessi”, perché ormai tutti i ragazzini che provano ad essere più di quello che sono. Ma anche visivamente. Vedi 18enni al quarto pezzo con le Dior, non ce le ho io le Dior” e scoppia a ridere.
“Allora ho seguito un po’ di freestyle e i tipi rappano pulito. A me piace quella roba lì, rappano dei cazzi loro, hanno un loro linguaggio, hanno un loro flow, hanno una loro cadenza. Hanno un modo proprio loro di tagliare le cose, di tagliare le barre. Il disco stava andando bene, le cose stavano girando bene, quindi ho detto se faccio una repack li butto dentro”.
“Tu ti ricordi quando hai scritto “Scegliere Bene”? gli chiedo.
“Era gennaio, inizio gennaio. A me piace, secondo me “Scegliere Bene” è la traccia più bella della repack. C’è da dire una cosa, questi pezzi sono importanti perché costruiscono il corpo dei progetti. Il tuo vero affezionato poi si ricorda “Scegliere Bene”. Si ricorderà la hit. Poi vedi ancora gli estremi, veramente gemelli. SI ricorderà la hit, perché veramente “Superclassico” la cantavano anche i cespugli a ‘na certa. Ma il vero affezionato si ricorda anche quel pezzo lì, il “Cigni””.
“Io poi son felicissimo di “Superclassico”. Non mi pento proprio per un cazzo. Con Marz ogni tanto ridiamo di questa cosa,“Superclassico” piaceva a tutti per il primo mese dopo l’uscita del disco. Ma appena sono iniziate a partire le radio hanno cominciato a dire: “Ah, io quella roba non l’ascolto. Quella roba da ragazzine”. Ma come? Fino ad un mese fa ti piaceva” e scoppia a ridere.
“Però hanno reagito a “Superclassico” come fosse una sorpresa. La vera sorpresa è “Ferma a guardare” non “Superclassico”, io “Superclassico” l’ho già fatto, ma perché ha avuto così tanto successo? Perché è mia, è fortemente mia. “Superclassico” è l’evoluzione di “Bella”, di “Certi Giorni”. Io avevo già tastato quel terreno, mi piaceva, io già stavo andando a cercare già da allora, già dal 2017 quando ho scritto “Bella””.
Poi continua: “Quindi non c’era da sorprendersi in realtà, “Superclassico” era assolutamente nelle mie corde, per questo ha avuto successo. I pezzi che non sono nelle tue corde non funzionano. Pensa ad un interprete: se pensiamo ai cantanti del pop che cantano testi scritti da un autore, se quei testi non sono nelle loro corde si sente.”
Riprendendo “Fuoriluogo”, provocatoriamente gli chiedo: “Quindi arrivando alla conclusione, preghi ancora per essere come gli altri?”.
“Eh no, in realtà no” ride: “Non prego più per essere come gli altri, perché l’ho fatta franca! No, si scherza, ma io ero cosciente di quello che stavo facendo, poi che riuscisse la cosa non era detto, io non lo sapevo”.
“Vedi che non c’è una sovrastruttura, non c’è un personaggio. Tanti rapper dopo aver fatto tanti anni a seguire i loro personaggi con questi lifestyle che non si possono permettere si tirano delle belle batoste, perché poi quando guadagni di meno, poi la devi mantenere quella roba li. E poi cosa farai? Dirai “Eh no ma io ora sono grande ho imparato che i veri soldi non ce li hanno quelli che li mostrano”” e scoppia a ridere nel descriverlo, ma poi riprende.
“Sai, son ancora tutti figli di Sfera. Alcuni emergenti sono davvero interessanti, ma la cosa che non capisco è se lo facciate per il grano o perché vi piace veramente?
Non lo fate nemmeno per i soldi, perché se fosse per i soldi forse lo capirei, ma per apparire. È per l’apparire sui social. A voi piace questa cosa qua che fate o è solo una cosa per far vedere il tuo lifestyle tipo young entrepreneur?”.
Nel concludere, Ernia è nella condizione di potersi esprimere liberamente, ma c’è ancora qualcosa di cui ha paura?
Sempre quella, arrivare alla fine della carriera e non essere felice. Però poi sai io lo so perché l’ho già vissuto, il cadere. E poi ti sembra brutto, perché io ancora devo dire qualcos’altro e ti hanno chiuso il microfono. Quella è la mia paura, arrivare alla fine, ma per ora tocchiamoci e vaffanculo. Speriamo più in la possibile”.
“Quindi hai paura che finisce di nuovo nonostante tutto questo successo?” gli domando stupito.
“Beh sicuramente, ma quello è lo sbatti di tutti. Comunque stai facendo il lavoro della tua vita, ti piace. Però sai io sono consapevole che questa è una finestra nella mia vita, io non farò questo a 60 anni. Passo le giornate a guardarmi intorno, sto cercando qualcosa. Si mi son tolto un sacco di sfizi, mi son comprato casa, però mi guardo intorno e dico facciamo qualcos’altro, ho due soldini da parte possiamo creare qualcosa, qualcosa che vada al di fuori della musica, ma vedremo”.
L'usignolo ha cominciato a volare davvero, ma non si pensi sia stato un caso.
Ernia ha preparato questo successo per anni, tra la coscienza di non voler essere accomunato alla moda e quella di non voler scendere a compromessi.
È stata una scelta saggia, quella di fidelizzare il pubblico. È una maratona, no?