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Se il rap fosse cinema. Quali album andrebbero rifatti?

Nostalgia, dal greco ‘nostos’, ritorno.

Articolo di
Camilla Castellan
on
01
-
08
-
2019

Nonostante non sia ancora finito possiamo sbilanciarci – non correndo troppi rischi – nel dire che il 2019 è senza dubbio l’anno dei remake, in particolar modo di quelli cinematografici.

La Walt Disney Company, in attività da quasi un secolo, è la più grande società mondiale nel settore dell’intrattenimento audiovisivo e già da qualche tempo aveva annunciato la riedizione di grandi classici che hanno fatto sognare intere generazioni, portando l’azienda a vantare un fatturato di oltre 50 miliardi di dollari.

Il monopolio esercitato da Disney è in continua espansione, tanto che alcuni rumors nemmeno troppo discreti hanno rivelato l’imminente acquisto da parte del magnate statunitense della Twenty – First Century Fox, che entrerebbe a far parte della cavalleria ufficialmente a fine anno oltre alle storiche Pixar, Marvel e Lucasfilm.

Volendoci allontanare dall’aspetto venale in sé, è indubbio che gran parte delle produzioni hanno ottenuto il successo di massa non solo per le scelte stilistiche e il grande budget operativo, ma soprattutto per il senso di collettività che hanno riportato alla luce: la favola è in grado di impartire una morale – comune ad ogni singolo individuo - con tutta la dolcezza che gli strumenti della narrazione le offrono.

I record de Il Re Leone

La prima versione edita 1994 racconta di complotti, alleanze e amicizie, una combo sempre attuale che ha reso possibile il suo rifacimento.

Se la chiave di lettura rimane quindi la stessa a cambiare è la resa: diretta dal polimorfo Jon Favreau (regista e produttore di Iron Man, Il libro della giungla o attore in The Wolf of Wall Street) la pellicola diventa un romanzo fotorealistico di animazione computerizzata arricchita dalle voci di un cast stellare tra le quali spiccano Donald Glover aka Childish Gambino, James Earl Jones (unica presenza originaria) e Beyoncé.

I botteghini all’epoca della prima visione incassarono quasi 1 miliardo di dollari, ma numeri da capogiro simili non potevano che assicurarne la doppietta oggi: nelle prime 24 ore dalla pubblicazione ufficiale del trailer le visualizzazioni hanno toccato l’apice delle oltre 224,6 milioni.

Il grande traguardo è stato omaggiato su Twitter dalla stessa Disney con un breve messaggio di ringraziamento ai fan e ai collaboratori, team sapiente cha ha creato un successo a-generazionale.

Perché non ci stanchiamo di ciò che conosciamo già?

Nostalgia, dal greco ‘nostos’, ritorno.

Pare che l’etimologia stessa ci suggerisca l’estrema applicabilità del concetto sopra riportato: quello che abbiamo già vissuto ci appartiene in maniera tanto viscerale da influenzare il nostro andamento futuro in maniera più o meno consapevole.

Nel 2011 Routledge ha svolto una serie di studi interessanti: partendo dall’ipotesi che la malinconia abbia la funzione di sostenere e rafforzare l’attribuzione di senso alla vita, attraverso gruppi di lavoro ed esercizi differenziati ha riscontrato che coloro in grado di sperimentare maggiormente questo sentimento ricorrevano con meno frequenza a quella sfera introspettiva negativa di ansia, paura e insoddisfazione.

Rintracciare qualcosa che conosciamo già ha quindi una doppia valenza: se da una parte vi è una funzione protettiva della nostra identità - e della consapevolezza che ne deriva – dall’altra essendo i ricordi un insieme di percezioni che implicano la compagnia e la condivisione con altre persone, stimolano la ricerca di un contatto interpersonale assumendo a tutti gli effetti i tratti del supporto sociale.

Imparare a coltivare la nostalgia può aiutarci a mantenere una linea, a dare direzionalità alle nostre esperienze, diventando una modalità di guardare al passato in modo integrativo; cosa meglio di una rappresentazione artistica – nelle sue variegate forme – evoca questa sensazione? Cosa ci permette di abbattere le barriere spazio / tempo costruendo una connessione tra elementi e individui, se non l’arte?

Il ponte sospeso del rap italiano: Kaos One e Massimo Pericolo

Agli esordi della carriera di Marco Fiorito nel 1984, Massimo Pericolo non era ancora nato. KAOS ONE insieme ai Sangue Misto e agli Assalti Frontali rappresenta quella che oggi si definisce la golden age - hardcore - dell’hip hop italiano; purista per definizione sperimenta tutte le discipline legate alla realtà urban, dapprima come b-boy e writer e successivamente come MC, prima in inglese e poi in italiano.

L’approccio al panorama musicale - non così chiaramente definito come lo è oggi - è stato comunque immediato forse anche grazie alla conoscenza di personaggi come Neffa o i Colle der Fomento allora già in piena attività.

Né il background artistico né quello personale paiono giustificare un parallelismo così azzardato, eppure al primo ascolto di “Amici” – traccia presente nell’album pubblicato da Massimo Pericolo quest’anno e disco che gli ha regalato il podio dei nuovi emergenti sui cui puntare – quel rimpianto senso di appartenenza mi sembrava lo stesso di “Per la vita”, decimo pezzo del progetto Fastidio edito 1996.

I dibattiti su quale fosse il miglior album di Kaos sono molteplici, ma dare un valore al primo lavoro solista pubblicato per Zeros3ss Record – ossia l’etichetta indipendente fondata da Dj Gruff e Deda – e composto da 15 tracce quasi interamente prodotte da Neffa (per l’occasione Piscopo) pare quanto meno doveroso.

L’eredità può essere un trampolino di lancio

Associare Pericolo ad un pezzetto di storia italiana ha sicuramente il suo peso che non deve però privarlo dell’originalità e della freschezza portata in un momento in cui il genere si stava accartocciando sui propri cliché; Scialla Semper è un manifesto chiarissimo della persona Massimo e del personaggio Pericolo.

Il viaggio di coscienza c’è, la rabbia pure; il senso di rivalsa verso un sistema fossilizzato e stereotipato anche. Massimo ha tutto quello che serve per fare da collante tra passato e presente.

Senza nessuna estetica codificata tracce come “Soldati” riportano il disappunto tutto ninety in una chiave conscious, regalando immagini pregne di significato accompagnate da una litania che taglia le orecchie.

“Era meglio morire da piccoli, con i peli del culo a batuffoli, che morire da grandi soldati con i peli del culo bruciati.”Soldati, Massimo Pericolo

I ventitre anni che separano l’uscita dei due dischi evidenziano quanto troppo poco ancora sia cambiato nell’ordinarietà di giovani cresciuti a contatto con un mondo che non li valorizza, dove per farsi spazio tocca gridare più forte del coro anche se il rischio di essere mangiati vivi è all’ordine del giorno; dove la speranza di una vita decente - specialmente per qualcuno - rimane ancora la quotidianità più difficile da costruire.

Per fortuna che oggi come allora 16 barre possono regalarti l’indipendenza.

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Autore:
Camilla Castellan
Batto tasti qua e là nell'hinterland milanese. Il più delle volte a farlo sono i miei alter ego.

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