Interviste

Il Tre ha trovato il suo posto nel mondo

Abbiamo intervistato Il Tre dopo l'uscita del suo primo disco ufficiale, "Ali".

Articolo di
Federico Maccarrone
on
05
-
03
-
2021

Il primo album ufficiale rappresenta sempre un banco di prova cruciale, una sorta di prima convocazione tra i grandi, l’occasione di dimostrare definitivamente il proprio valore. Quando questa opportunità arriva per un artista reduce da un percorso lineare come Il Tre, le aspettative diventano inevitabilmente maggiori.

In “Ali” si colgono mille sfumature. Un lavoro eterogeneo e partecipato, nel quale ognuna delle 15 tracce serve a fotografare uno stato d’animo, a dare una forma ai pensieri.

Si delinea la figura di un ragazzo sincero, legato a valori rari in uno scenario spesso dominato da ostentazione e sceneggiatura.

 

Ascolta qui: “Per ChiNon Ha Un Posto In Questo Mondo”:

 

“Com’è nato “Per Chi Non Ha Un Posto In Questo Mondo”? “ gli chiedo, è una tematica insolita e originale nel mondo del rap.

“Il brano è nato nel momento in cui Christian, il produttore, mi fece sentire il beat che partiva con questi violini e mi disse: “Secondo me qui dovresti raccontare la tua vita, quali sono state le tue preoccupazioni e i tuoi timori quando hai cominciato”. Mi sono ispirato a questa cosa che mi ha detto, il beat mi ha suscitato tantissime emozioni e quindi sono riuscito ad esternare abbastanza facilmente quello che volevo comunicare, poi dal ritornello è nato il titolo. È la prima canzone che farei sentire a chi non mi conosce.”

Oltre al brano però, mi interessa capire se il suo porsi spesso dalla parte degli emarginati sia dettato dall’avvertire questa sensazione in prima persona. “Quello che mi fa distaccare molto dalla realtà è che fondamentalmente sono un tipo che sta molto sulle sue. Credo che le persone di base siano cattive, perché sono cresciuto in un contesto dove tutto quello che facevo era sbagliato per chiunque.”

L’odio e l’invidia sono due sentimenti che Guido ha avuto modo di sperimentare sempre più spesso, mano a mano che Il Tre ha preso posto nella sua vita. “Quando ho cominciato, ho fatto fatica ad impormi nel dire “voglio fare questo e basta”, quindi sono cresciuto con l’idea che le persone siano invidiose anche solo di quello che tu puoi pensare di fare, figuriamoci quando questo riesci pure a realizzarlo. Me ne sto accorgendo ora, perché insieme ad una grande esposizione sta arrivando anche una sorta di hating, per certi versi persino tardi ma che avvalora il concetto di cui sopra.”

Queste forme di ostracismo, però, non sono nulla in confronto alla determinazione e alla convinzione che lo hanno portato fino a qui, sostenute da quelle poche persone che hanno davvero creduto in lui.

 

“Credimi quando ti dico: ‘Le prime canzoni che ho fatto facevano schifo’. Mi vergognavo in giro, sto confessando la parte più oscura di me”  

 

Autocritica, per partire dal basso e puntare in alto. “Come fai a credere che un ragazzino dal nulla possa ottenere dei risultati? A maggior ragione per uno come me che - un po’ come tutti all’inizio - non è che facessi musica di qualità, una cosa che dico a cuore aperto all’interno del disco. Piano piano crederci è stato come appoggiarmi, quando hanno capito che volevo fare veramente questo anche gli altri hanno iniziato a sostenermi.”

 

Ascolta qui: “Sogni e Incubi” feat. Clementino

 

Ali” è un disco che mette l’interiorità e l’emotività al centro, tanto che, sembrano essere razionalizzate da una sola cosa: la musica. “Mi sono accorto potesse essere un metodo per liberarsi quando c’era qualcosa che non andava e pensavo di trarne qualcosa di positivo scrivendo un testo, unacosa che ti può aiutare sia a metabolizzare che a superare il problema.” E la prima volta non si scorda mai. “Avevo circa 14 anni quando scrissi il primo pezzo. Quando ho iniziato non volevo fare il rapper perché ero solamente innamorato dell’immaginario, poi è scattato qualcosa che mi ha fatto perdere la testa. La mia era una sorta di cotta adolescenziale che col tempo è diventata la mia prima passione”.

Guido era un fruitore come tanti, fino a quando non è scattata la scintilla che ha cambiato le cose. “Ascoltavo rap già da piccolo, coi primi successi di Caparezza e Fibra. Poi c’è stato un momento in cui ho pensato che avrei potuto farlo anche io e secondo me è questo step che ti fa fare il primo passo verso quello che vuoi diventare.”

“Addosso sento una pressione sempre più pesante” dice in una traccia.

 

Con l’accrescere della fama, è aumentato anche il senso di responsabilità, verso se stesso e verso i fan. “La pressione riguarda l’essere passato dai singoli che facevano 10k views a pubblicare “Cracovia” che in una settimana ne ha fatte 1 milione. Vorrei riuscire a scrivere con la stessa genuinità di prima ma è difficile, perché la pressione non è tanto legata al dover dimostrare qualcosa o dare il buon esempio ma al dover mantenere il livello raggiunto, all’essere all’altezza.”

A volte però, non è facile lasciare che i commenti, positivi o negativi che siano, non ti influenzino. “Non mi interessano più di tanto, perché ormai chiunque può lasciarne uno su qualsiasi piattaforma. È chiaro però che, nel momento in cui la quantità di quelli negativi diventa spropositata, possa rappresentare un campanello d’allarme per segnalare che qualcosa non va.”

Quando tutto cambia velocemente è fisiologico che la linea di demarcazione tra la persona e l’artista possa venire meno, soprattutto quando manca il know how dell’esperienza.

  

“Tra la figura di Guido e quella che incarna Il Tre, qual è secondo te quel lato che la gente nonha ancora colto e che ti piacerebbe cogliesse in futuro?”. Ne emerge un vero e proprio sfogo a cuore aperto. “Per quanto riguarda l’artista, c’è un lato di me che le persone stanno cominciando a capire, ovvero che io posso fare tutto, dal rap con l’extrabeat o senza al pezzo pop cantato. Questo non perché io voglia vendere di più ma semplicemente perché voglio fare quello che mi piace.”

Ma è solo l’inizio. “Il problema sta nelle persone che mi identificano come quello di “Cracovia” o di “Te Lo Prometto”, fanno fatica ad accettare il fatto che io sia capace di fare una cosa e l’altra. Non so come sia all’estero, ma in Italia è difficile che gli ascoltatori comprendano qualcuno capace di spaziare: se fai rap, quando ti metti a fare una canzone pop, nonostante possa essere bella non te lo riconosceranno mai. Al contrario, ti diranno che sei un venduto, che poi alla fine nemmeno loro ne conoscono a fondo il senso e si ritrovano a dirlo soltanto per tendenza. Se unacosa mi viene bene, perché non posso farla?”.

Ineccepibile, no? Poi fa un esempio che rende più chiaro il concetto. “Mi immagino se domani un artista come Tiziano Ferro dovesse pubblicare un pezzo rap fortissimo in extrabeat: sono sicuro che la gente, piuttosto che apprezzarlo e goderselo, si interrogherebbe perplessa su cosa si è messo a fare.”

 

Ascolta qui: “Te Lo Prometto”:

 

La voglia di distinguersi, in una sorta di contrapposizione alla “Me Against The World” di 2Pac. “Negli ultimi anni mi sono accorto della differenza tra quello che ero io dieci anni fa e quello che sono i ragazzini di oggi ed è un argomento che tratto in “Io Non Sono Come Te”.

Oggi, i ragazzi di 15-16 anni inseguono uno status symbol e dal miopunto di vista è giusto prendere di mira questo atteggiamento, come cerco di fare all’interno del pezzo.”

La sua è una ricerca d’autenticità, un valore aggiunto nel movimento italiano. “Nella scena è molto raro che ci si esponga in maniera trasparente, è come se si facesse sempre gara a mostrare qualcosa in più degli altri. A me l’unica cosa che interessa - e credo sia un mio punto di forza - è la musica. Quando ottengo un risultato che mi gratifica lo mostro continuamente proprio perché ne vado fiero: non voglio esibire la giacca da 3.000 euro, piuttosto ti sbatto in faccia che sono primo in classifica.”

Il Tre non teme di porre l’emotività al centro e questo lo rende real con un’accezione diversa da quella che ha comunemente assunto nel mondo del rap. Come testimonial l’utilizzo ricorrente del verbo “piangere”, all’interno dei vari brani. “Cerco sempre -nonostante per tanti ragazzi possa essere una sorta di idolo, di fonte d’ispirazione o comunque un bravo artista –di mostrare che anche io ho e ho avuto paura. Voglio che il mio pubblico sappia che il fatto che io sia arrivato qui non mi esenta dall’avere timori o preoccupazioni.” Un argomento che viene spesso eclissato dal machismo dilagante nell’hip hop. “Molti artisti fanno fatica ad ammettere di aver pianto o sofferto il confronto con altri rapper. Essere fragile non è un punto a sfavore ma una qualità in più, perché significa che ci tieni così tanto che diventi addirittura più sensibile.”

Per esorcizzare la paura non c’è miglior modo che riconoscerla e parlarne apertamente.

“Ne ho parecchie, tra cui quella che tutto possa finire da un momento all’altro. Ma penso anche che tutto dipenda da me: se riuscirò a mantenere alto il livello e a rimanere fedele a ciò che sono, il pericolo che questo accada sarà minore.”

I sacrifici che lo hanno condotto fino al primo posto in classifica non si misurano soltanto in impegno e abnegazione, ma anche indolorose rinunce. “In “Pioggia” e  “Farfalla” parlo di uno o più rapporti che ho perso a causa della mia ossessione nel dovercela fare ad ogni costo. Le attenzioni penso sia bello riceverle quanto importante darle e a volte mi è capitato di non esserne stato in grado. Questa mia mancanza me la porto dietro ancora oggi perché concentro tutte le mie energie sulla musica e quando mi dicono che ho delle lacune in questo senso mi sento come se stessi dando l’altra persona per scontata: a quel punto o la perdi oppure il rapporto si deteriora irrimediabilmente.”

 

Ascolta qui: “Farfalla”

 

La farfalla è un insetto affascinante con una peculiarità che si presta a mille metafore: una lunga evoluzione da bruco a crisalide, prima di sbocciare e una vita relativamente breve e fragile. “In che modo pensi che questo animale ti rappresenti?”, gli chiedo. “Prima di iniziare a fare un bel percorso – a volare, da cui “Ali”- ho fatto tantissima strada e gavetta, che è una cosa che si è un po’ persa oggi, quando basta un singolo per svoltare. So cosa significa e quanto tempo ci ho messo per provare a volare come una farfalla e dunque è questo il filo logico che lega la mia carriera al simbolo e al titolo dell’album.”

Mantenendo il parallelismo, la fase da bruco è stata forse la più delicata nella vita dell’artista classe ’97.

“Il periodo delle medie è stato molto travagliato: sono passato da ascoltare rap a volerlo fare, dai primi insulti ai primi complimenti. Tutto questo in pochi anni, importanti nel formare ciò che sono oggi perché è lì che ho capito che le persone sono spietate. Essendo un ragazzo molto sensibile da quel punto di vista per me è stato ancora più difficile, ma al contempo ho scoperto di avere un carattere molto forte e sono riuscito a trasformare quella cattiveria in benzina per quel mezzo che doveva partire.”

Negli anni non sono mancate le offese, personali e gratuite.“Tra le altre, dicevano che mio padre mi comprasse le visualizzazioni. Ora ci rido e penso che, per quanto mi vuole bene, se avesse saputo come farlo probabilmente lo avrebbe anche fatto, ma la verità è che non ha la minima dimestichezza con la tecnologia. Io gli insulti me li ricordo tutti e a volte capita che ci pensi, però ad un certo punto arrivi talmente in alto che non ti tocca più niente.”

La famiglia è un elemento cardine nel racconto del rapper romano. “Mio padre è nato nel 1950 ed è forse la persona più colta e con più titoli di studio che io conosca: ha sofferto parecchio il fatto che io non gli abbia dato delle soddisfazioni dal punto di vista scolastico, molto più di mia madre che cercava di assecondarmi e aveva colto in me qualche altro talento che avrebbe potuto brillare. Lui è un uomo molto intelligente che fa il possibile per evitare la discussione e soprattutto sa che alla fine un figlio deve essere contento per aver trovato la propria strada. Dopo avermi messo di fronte ad una scelta di non ritorno pur di reindirizzarmi allo studio, abbiamo trovato un compromesso che mi ha spronato a dimostrargli che non stessi scherzando e che fossi davvero in grado di fare ciò che dicevo. Siamo passati dal palco dello Zoo Bar con 40 persone, dove lui era già il più contento del mondo, ai dischi d’oro e platino, primi posti in classifica e concerti con tremila persone. I traguardi che raggiungo in primis sono per mio papà, la prima persona che chiamo quando succede qualcosa di grande.”

“Non conoscendo le dinamiche dell’ambiente, non credeva si potesse vivere di sola musica. Quando gli ho fatto il resoconto dei dischi venduti e del relativo guadagno, non ha voluto svalutarmi e ha preferito restare a guardare quello che sarebbe successo. Alla presentazione del mio primo mixtape, lui arrivò a metà live e c’erano circa 60 persone sotto il palco che cantavano i miei pezzi e mi guardavano con ammirazione. A quel punto capì e mi disse che mi avrebbe seguito in capo al mondo.”

Il rapporto con il denaro è quello di un ragazzo che ne conosce il giusto valore. I soldi sono stati una piacevole conseguenza della passione e della dedizione con le quali si è applicato, dopo una gavetta durata quasi cinque anni, tutt’altro che remunerativa.

 

“Se per fare ciò che faccio oggi non guadagnassi nulla, lo farei comunque per quanto mi piace”.

 

La sua evoluzione artistica è quanto mai tangibile nella trilogia di “Cracovia”.

“Il primo l’ho scritto in cinque minuti, pubblicato su YouTube dove ad oggi, non so nemmeno quante visualizzazioni conti. Nella parte2 mi sono evoluto, ma alla fine questa saga è un allenamento al pari dei “Veleno” di Gemitaiz e Madman: non è importante il contenuto perché è pienamente un esercizio di stile, con skills interessanti. La differenza nel terzo episodio è innanzitutto il beat inedito, dietro al quale c’è un grosso lavoro, a differenza dei primi due nei quali avevo utilizzato una base americana. Poi sono cambiato io come persona: dall’approccio musicale a quello alla scrittura, ci siamo messi in studio e ho sviluppato la linea melodica del ritornello che poi ho scritto, prima di scrivere le strofe e di rivalutare anche la seconda. Ma anche da qui al resto del disco ci sono stati diecimila passi avanti, perché prima scrivevo un pezzo in massimo quindici minuti e non cambiava per nessun motivo mentre ora lo riapro tutte le volte che serve. Così come capita di rivalutare il beat e le voci: questo è grazie alle persone chelavorano con me perché da solo non avrei mai fatto questo upgrade.”

Con l’attenzione alla globalità dei lavori, è aumentata anche la cura rivolta alla scrittura: “Assolutamente si e penso anche siadoveroso, perché stiamo facendo qualcosa di importante.”

Del disco non cambierebbe nulla, è soddisfatto così e sarebbe stato felice anche se avesse ricevuto centomila feedback negativi.Nomina “Tegole” tra le sue tracce preferite, non prima di essersi apertamente schierato in favore dei pezzi conscious.

 

Ascolta qui: “Tegole”

 

I prossimi passi saranno quelli che determineranno quale sarà il suo futuro nel panorama musicale italiano. “Il primo è prendermi le giuste soddisfazioni con quest’album. Ho tanta roba nuova che voglio pubblicare, per certi aspetti molto simile a come la si possa immaginare e per altri completamente diversa. Con l’uscita di questo disco mi sento un po’ più vuoto perché ho pubblicato la maggior parte dei lavori che avevo e quindi orami sembra di ripartire da capo, ma è anche un po’ il bello del gioco. C’è comunque l’intenzione di pubblicare altre cose, in un tempo relativamente breve, però prima voglio godermi i successi che mi auguro arriveranno.”

Visti i risultati, sarà divertente capire quale sia il prossimo passo dell'artista romano.

 

Ascolta qui: “Ali”

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Autore:
Federico Maccarrone

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