Interviste

Il successo di Lazza è soltanto l'inizio: intervista

Ad oggi, gli occhi di Lazza puntano dritti al futuro, tutt’altro che sazi dei risultati raggiunti.

Articolo di
Riccardo Primavera
on
15
-
06
-
2021

Milano è la città di punta dell’industria discografica ormai da anni. Ci sono le infrastrutture, ci sono le persone, ci sono i mezzi. Milano è la città in cui il talento può incontrare gli strumenti che servono a farlo brillare, a permettergli di raggiungere il successo. Il talento da solo, però, non basta, neanche a Milano.

Lo sa bene Lazza, uno degli esponenti per eccellenza di quella classe che fino a poco fa era la nuova scuola del rap italiano, e ora rappresenta semplicemente una certezza. All’anagrafe Jacopo Lazzarini, il rapper della 333 Mob e del roster Island Records ha le idee chiarissime su cosa serva per arrivare in alto, e soprattutto per restarci. “Oggi secondo me essere bravi non basta, il talento non basta, sicuramente oltre al talento serve una cosa che si chiama testa”. E la testa sulle spalle Lazza l’ha sempre avuta, fin dal principio, partendo soprattutto da delle idee molto chiare: “il mio obiettivo principale nella vita è sempre stato campare di musica, indipendentemente da che tipo di musica fosse”. Il pianoforte, il suo marchio di fabbrica per eccellenza, che ha raggiunto l’apice nell’edizione “Piano Solo” di “Re Mida” – il suo secondo disco, certificato doppio platino dalla FIMI -, è stato il primo mezzo tramite cui si è avvicinato alla musica. “Ero molto piccolo, avevo forse dieci anni”, racconta, e con il pianoforte si è tolto diverse soddisfazioni: “mi è anche capitato di poter fare delle robe che magari non ero nella posizione di poter fare, nel senso che il mio talento mi ha portato a fare cose, partecipare a concorsi e masterclass che faceva gente quasi diplomata o diplomata”.

Guarda ora il video di "Ke Lo Ke" di Tony Effe con Lazza & Gazo

Il rap arriva dopo, grazie ad un amico che lo ha introdotto al freestyle, ma “non c’è stato un periodo di transizione in cui ho detto «ok, basta musica classica, da oggi solo rap», mi sono sempre piaciute entrambe le cose e le ho fatte entrambe”. “Io credo che prima o poi tutte le robe, se riguardano la musica, sono comunque accostabili”, dice, riflettendo sul legame tra due mondi che dall’esterno sembrano più lontani di quanto poi non siano. E se n’è accorto anche all’atto pratico, dopo aver pubblicato “Piano Solo” e, più recentemente, dopo aver visto andare sold out in un baleno una speciale edizione limitata degli spartiti da pianoforte del disco. “Tanta gente tutt’oggi mi scrive che si è appassionata al pianoforte dopo la deluxe del mio ultimo album, mi scrivono che hanno iniziato a studiare”, racconta, quasi emozionato all’idea di essere uno stimolo di questo tipo per il suo pubblico. Proprio di stimoli finiamo a parlare, e di come siano quest’ultimi il problema delle nuove generazioni, e non un’effettiva mancanza di conoscenza, o di strumenti a disposizione. “Non è l’ignoranza in realtà, perché uno può essere una persona intelligentissima, è proprio una mancanza di stimoli, una mancanza di curiosità di scoprire qualcosa. Purtroppo, e non voglio generalizzare, ma vedo che molti giovani sono così oggi. Cioè, io da ragazzino mi facevo un culo tanto. Mi piaceva il rap, uscivo di casa e andavo a cercare, io ho girato tutta Milano per cercare qualcuno con cui rappare, perché dopo tre volte che rappavo con la stessa persona magari mi stufavo capito. Quindi cercavo di andare di qua, di là, a scoprire se c’era qualcuno di nuovo”.

E le strade di Milano le ha davvero girate tutte rappando, per arrivare poi ai palchi più prestigiosi, incluso l’Alcatrax, che ha mandato sold out a più riprese. A Milano gli show di Lazza sono sempre una storia a sé, e lo conferma lui stesso, raccontando il rapporto con quella che è la sua casa. “Quando suono a Milano ho sempre l’ansia, come se dovessi rendere di più, rispetto a suonare in un’altra città. Poi in realtà non è vero, perché bisogna essere professionisti e fare sempre tutto bene, però è normale: sono a casa mia, ci tengo di più a non fare una figura di merda a casa mia. A Milano fai uno show diverso, più lungo, con un set più figo, con un palco magari più figo, e quindi hai meno margine d’errore, mi sta più sul cazzo se faccio una cavolata”. Dopo esserci abbandonati ad un momento nostalgia, dovuto al fatto che i concerti sembrano davvero un lontano ricordo oggi – “il live è assolutamente il momento di condivisione più bello di tutti ed è chiaramente la parte più bella del mio lavoro, la parte che io amo di più del mio lavoro, che è quella che mi sta letteralmente levando la vita in questo momento” -, finiamo per parlare della voglia di migliorarsi, di quel perfezionismo riassunto in “mi sta sul cazzo se faccio una cavolata” ad un live. È una sfida con sé stessi e con gli altri che ha radici lontane nel percorso di Lazza, fin dagli esordi è stata presente.

Guarda ora il video di "J" di Lazza

“Alla fine al Muretto venivi, se eri forte rappavi, sennò non rappavi. Lo so che è brutto da dire così, però comunque sia io la prendevo proprio come una forma di esercizio, cioè io tutti i venerdì ero là. Era una sorta di selezione naturale”, spiega, parlando del Muretto, la storica cornice in zona San Babila che ha visto nascere e crescere una buona fetta del rap italiano, dalla generazione dei Club Dogo a quella più recente di Ghali, Fedez, Emis Killa e dello stesso Lazza. “Quella è una roba che a me manca tanto, per dirti, mi piacerebbe oggi un pomeriggio passare, nella speranza tra l’altro che la gente non mi veda al di sopra di com’ero quando sono andato lì”, racconta, “nel senso che, se faccio una rima di merda, non è che perché adesso ho i dischi di platino allora non puoi dirmi che ho fatto una rima di merda, l’ho fatta. Poi per carità, non vogliatemene eh, è difficile che faccio una rima di merda in freestyle”, aggiunge, ridendo.

Tra le strade di Milano ha trovato la sua vocazione, ha trovato una palestra dove affinare i suoi strumenti, e nel tempo ha trovato anche talenti a cui ha dato una mano a crescere: “se valuto che un’artista è forte, può essere uno che fa i numeri di Jay-Z come uno che è uscito ieri, che è un emergente, e magari ci vedo del buono in quella roba. Lo dico perché è successo, ho dato credito ad artisti che erano giovani e che oggi stanno facendo bene. Ce l’ho sempre avuta questa roba di essere un pochettino precursore, di essere un po’ talent scout”. A Milano, però, Lazza ha trovato soprattutto il suo team, quello che gli ha permesso di raggiungere i risultati ottenuti finora, e con il quale sta lavorando per migliorarli. “Credo proprio di no, assolutamente no”, risponde, quando gli chiedo se pensa che ce l’avrebbe fatta anche senza la sua squadra. “Quando ti interfacci a una realtà di più persone capisci che la cosa che spaventa davvero la concorrenza è quando c’è un team dietro, non quando sei una persona singola. Un immaginario si crea insieme, e una macchina funziona quando tutti i pezzi sono al loro posto”. E Lazza è davvero fiero del suo team, la sua macchina funziona davvero. “Se tu vai nel locale X, piuttosto che parli con il brand Y, mi dice “Federica è il capo”, mi dice “Slait tratta i suoi artisti come se fossero i suoi figli”, mi dice “non ho mai sentito un beat con un basso come quello di Low Kidd”, capisci?”.

E subito dopo traduce in parole il suo pensiero a riguardo: “io ho fatto l’Alcatraz, voglio fare il Forum; fatto il Forum, se mai farò il Forum, vorrò sicuramente fare San Siro. Io credo che non esista un vero “arrivo”, sono solo nuovi punti di partenza. Fai questo, metti la bandierina, e riparti da lì”. Da Milano, quindi, verso nuovi orizzonti, senza limiti. Ma sempre con il suo team al fianco, perché senza lealtà non c’è successo.
Loyalty equals Royalty, per farla breve.

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Autore:
Riccardo Primavera

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