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“IGOR” di Tyler, The Creator non doveva vincere il Grammy

La vittoria di “IGOR” ai GRAMMYs è stato un vero e proprio caso mediatico. Perché il disco Tyler, per quanto bello, non avrebbe dovuto vincere proprio quel riconoscimento.

Articolo di
Federico Arriu
on
05
-
02
-
2020

Introduzione

Piccola premessa: il mio intento non è scrivere che “IGOR” di Tyler, the Creator non fosse un disco musicalmente valido, né tantomeno che non fosse degno di un riconoscimento simile. Al contrario: l’album, secondo me, era incredibile.

Eppure, fin dal momento della nomination per il GRAMMY della categoria “Best Rap Album”, non ho potuto che storcere il naso. Ma dopotutto era stato lo stesso Tyler a twittare – prima del rilascio del progetto – “DON’T GO INTO THIS EXPECTING A RAP ALBUM” (“Non approcciate a questo disco aspettandovi un album rap”).

E, infatti, quando le nominations ai GRAMMY sono stare rese pubbliche, Tyler ha dichiarato apertamente il proprio turbamento (“uhhhhh, i guess”, ha twittato), disapprovando la scelta di inserire il proprio lavoro sotto l’etichetta dell’urban. E non a torto, secondo i numeri. HipHopNumbers, qualche tempo fa, rilevava come le parti rappate del disco non superino il 41.5% totale.

Secondo Tyler e i fan “IGOR” non è un album rap

Fin dagli albori della propria carriera, Tyler ha coltivato una fanbase di apostoli devoti, vari e usi alla sua versatilità. Coloro che lo conoscono dai primi lavori ne hanno visto l’iperattività produttiva e ne hanno amato sopra ogni cosa proprio la capacità di barcamenarsi fra più generi e l’abilità di non farsi rinchiudere dentro canoni claustrofobici.

È stato proprio questo allontanamento dal prodotto rap tradizionale che ha portato la popolarità di Tyler a crescere, in particolar modo con la release di “IGOR”. Non a caso, come riporta anche DjBooth, il progetto ha esordito al primo posto nella chart the Billboard 200 e tutte le tracce, eccezion fatta per tre brani, sono rientrate nella Billboard Hot 100.

Per questo, nel momento in cui l’artista losangelino ha ricevuto la sua seconda nomination ai GRAMMYs (la prima era quella del 2017 per “Flower Boy”), il popolo di Twitter si è scatenato.

L’affermazione “IGOR was not a rap album” (“IGOR non era un album rap”) è scrosciata come pioggia sulla home di ogni fan della musica internazionale, aprendo una discussione non così semplice sul posto occupato da Tyler nel rap contemporaneo.

Parliamoci chiaro: il disco non è così ben definibile, ed è proprio questa la sua forza. Se ne può parlare come di un opulento e caotico pastiche di R&B, funk e rap con influenze pop. La verità, tuttavia, è che un po’ troppo spesso dimentichiamo che il suggello di genere è – per la verità – un’etichetta merceologica, volta a dare un’indicazione approssimativa del tipo di influenze a cui un artista attinge.

Non si può dimenticare che l’ibridazione di rap e pop nell’ultimo anno ha prodotto progetti anfibi e risultati paradossali: statisticamente l’ultimo album di Post Malone ha meno parti rappate degli ultimi progetti di Ed Sheeran.

Non essere rap è ciò che lo rende Tyler

È palese che Tyler, fin dal 2011, con “Goblin” abbia deciso di sintetizzare in un mélange complesso gli elementi della dance, dell’R&B, del pop, e dell’alternative rock nel grande calderone del rap.

E, infatti, come chiarito da Zane Lowein in un’intervista per Apple Music, “IGOR” è ispirato, per buona parte, alla fascinazione esercitata dal soul degli anni Ottanta e dalla pop music (Sade, Everything But The Girl, and The Style Council erano citati come influenze maggioritarie nella stesura delle musiche e dei testi).

Insomma: per quanto tutti siano stati felici per Tyler e per il risultato raggiunto, il discorso è che il GRAMMY da lui guadagnato è un riconoscimento riduttivo, incapace di rappresentare ciò che il disco è effettivamente (e anzi, capace di premiare solo un aspetto superficiale del progetto).

“IGOR” è un disco in cui il personaggio eccentrico e scatenato del video di “What’s Good” è estetica, superficie, capace di celare un individuo travolto da un dissidio emozionale che poi diviene materia prediletta della narrazione e della sperimentazione. L’album è – di fatto – un’antologia di armonie eccentriche, synth onirici e surreali e un nitido arco narrativo.

Se Tyler ha iniziato la sua ascesa grazie al rap nel 2007 con la fondazione della realtà di Odd Future (i suoi primi lavori si fregiavano delle barre della Odd Future Crew, che annoverava Earl Sweatshirt, Hodgy, e Domo Genesis prima che, con “Cherry Bomb”, arrivasse a includere Lil Wayne, Kanye West, ScHoolboy Q), con “Flower Boy” ha iniziato un processo di affrancamento dal genere.

Certo, l’album aveva ancora vestigia residuali delle origini, viste le collaborazioni con A$AP Rocky, Wayne, e Jaden Smith – ma il cambio di rotta era già evidente.

E qui sta il compimento e l’innovazione di “IGOR”, che tratta le collaborazioni con artisti rap come uno strumento in un progetto più ampio (si pensi a Lil Uzi Vert in “Igor’s Theme” o a “Puppet”, che vede la comparsa di Kanye West).

Al di là di ogni genere di considerazione tecnica, la conclusione obbligata cui dobbiamo giungere è che “IGOR” non è un album rap, ma è un disco che solo Tyler poteva portare in cantiere.

È proprio questa visionarietà tipica di Tyler che il GRAMMY avrebbe dovuto premiare. Visto il successo (sia presso la critica che sul mercato) di IGOR, anzi, forse è assurda la sua esclusione della categoria di Album Of The Year.

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Autore:
Federico Arriu

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