In America il rilascio di un producer album è un evento canonico e normale nella discografia. In Italia, invece, finora non c’è stata una concezione simile né per il lavoro né per la figura del beatmaker. Ma le cose potrebbero cambiare presto: forse infatti siamo già entrati nella stagione dei producer solisti, e anzi potremmo non essercene accorti.
Quando uscì Not all heroes wear capes di Metro Boomin ricordo che rimasi affascinato dalla raffinatezza del progetto, tanto che mi venne naturale domandarmi quando qualcuno avrebbe avuto il coraggio di portare qualcosa di simile in Italia.
Era difficile per me pensare ad un album di collaborazioni fra gli equivalenti italiani di Travis Scott, 21 Savage, Swae Lee, Young Thug e via discorrendo, in cui il producer potesse emergere come protagonista; forse, da un lato, il motivo di quella mia difficoltà risiedeva nella poca attenzione che il pubblico storicamente riserva a tale figura nel nostro Paese, mentre dall’altro la competitività negativa all’interno della scena mi lasciava dubbioso su un possibile esito positivo di un simile progetto.
Ma ripensandoci oggi, a quasi un anno di distanza da quella fortunata pubblicazione (NAHWC fu infatti certificato disco d’oro nonostante fosse il primo disco solista di Metro Boomin), posso rispondermi che potremmo essere arrivati al preludio di quella fatidica stagione in cui i producer album impereranno sulla scena musicale nostrana. Ma è davvero possibile un’apertura di questo genere?
Il caso discografico più importante degli ultimi mesi è stato il Machete Mixtape Vol.4.
Ma cosa c’entra quest’album con l’ipotesi di una stagione di assoluto controllo della scena da parte dei producers? Il Machete Mixtape Vol.4 è sicuramente un’argomentazione insufficiente (se presa singolarmente) per sostenere una tesi tanto corposa, ma allo stesso tempo ci consente di rilevare un elemento che dev’esser preso in considerazione nella nostra analisi: l’orientamento del pubblico.
Il modello che presenta una pluralità di artisti al suo interno funziona perché al pubblico – abituato al cambiamento e alla velocità del mondo dello streaming – piace: lo dimostra il disco di platino ottenuto appena un mese dopo il rilascio dell’album proprio da Machete.
Certo, nel disco del collettivo non c’era una figura che “allacciasse” le tracce l’una all’altra come nell’album di Boomin (per il quale si fatica addirittura a capire quando termina un brano e quando inizia il successivo), ma a fungere da collante sostitutivo vi era la consapevolezza di essere stati attentamente selezionati – e dunque di esser parte di un’élite scelta – per prendere parte ad uno dei progetti più attesi d’Italia.
È innegabile, fra l’altro, che una figura di spicco del beatmaking italiano potrebbe avere lo stesso impatto a livello emotivo per gli artisti, favorendoli però anche da un punto di vista dell’organicità e coerenza del sound.
Appurato il fatto che l’associazione artistica di diverse voci in un medesimo progetto possa portare a ottimi risultati, possiamo sicuramente riflettere su quanto il modello del producer solista possa superare anche l’ipotesi del mixtape.
In primo luogo – come già affermato – la figura del producer può conferire un senso di completezza fonica e un’armonia di fondo al progetto altrimenti irraggiungibili.
In secondo luogo bisogna considerare che il producer è come un regista silenzioso che guida i suoi attori a colpi di 808 e samples anche nella singola traccia: è una figura taciturna ma carismatica, che può domare anche le personalità più vulcaniche e distanti legandole insieme.
Da un lato, dunque, come Stanley Kubrick sapeva gestire ogni singolo aspetto sia estetico-simbolico sia di trama di A Clockwork Orange portando lo spettatore ad un sovrasenso specifico irrilevabile nell’osservazione microscopica della singola scena, così deve saper fare un ottimo producer; ed è innegabile che in Italia ve ne siano già diversi capaci di unire sopra lo stesso beat gli artisti più vari.
Dall’altro questa prima capacità dev’essere subordinata all’autonomia estetica di ogni singola traccia: si pensi per esempio a Calipso, il tormentone di Charlie Charles di questa estate. Il brano è letteralmente esploso in radio, fondendo l’autotune di Sfera Ebbasta e le liriche di Fabri Fibra su un beat ipnotico e tropicale, che ha trovato in Mahmood la ciliegina sulla torta.
Ascolta ora: Calipso
E certo, Charlie sarebbe sicuramente uno dei nomi papabili per aprire ufficialmente questa stagione di dominio del beatmaking: anche Bimbi costituisce un ottimo esempio, seppur più datato, delle sue indubbie capacità registiche.
Se ci chiediamo però chi potrebbe essere il primo a dare impulso vitale a questo nuovo trend non possiamo ignorare la figura di Night Skinny. In primo luogo, egli ha due dei producer album meglio riusciti dell’hiphop italiano.
Il primo, Zero Kills (2014), anticipava di fatto questo momento storico, ponendo la figura di Skinny come uno dei pochi producers italiani degni di essere noti tanto quanto un rapper affermato.
Il secondo, Pezzi (2017), mostrava al pubblico l’eclettismo di Skinny, che pur dinnanzi ad artisti in gran parte di una generazione diversa da quelli di Zero Killsaveva saputo adattarsi senza cambiare gli aspetti peculiari che lo avevano reso tanto noto.
In secondo luogo però, c’è da rilevare il suo progetto in uscita il 13 settembre, attorno a cui c’è grande hype.
Il disco conterà 26 artisti differenti e assai vari, proponendosi come uno degli album-evento dell’anno. Esso sarà una fotografia della scena del 2019 e, contemporaneamente, potrebbe essere un modello per quella degli anni a venire.
Quando scrivo di stagione dei producer solisti però non intendo solo riferirmi alle figure di Charlie e Skinny. Sono moltissimi i beatmakers che si sono messi in mostra nell’ultimo periodo e che potrebbero proporre un lavoro del genere.
Sick Luke è il primo fra questi, vista soprattutto la sua continua attività e la sua tendenza alla sperimentazione: ha infatti da poco pubblicato “Instrumentals 4” (una raccolta di strumentali prodotte dal 2017 ad oggi) facendolo seguire da un brano cantato da lui in inglese (segno appunto, di uno zelo che lo induce a volgersi spesso al di fuori della propria comfort zone).
Infine, un occhio di riguardo dev’essere rivolto sicuramente a Tha Supreme che nell’ultimo anno ha avuto una crescita esponenziale, e in particolare a Shablo. Egli (che durante la propria carriera ha già pubblicato un producer album in collaborazione con Don Joe intitolato Thori e Rocce) ha infatti rilasciato proprio questa notte un brano con Marracash e Carl Brave, che potrebbe preannunciare un lavoro più ampio e articolato.
Ascolta ora: Non ci sto
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