Italia

È giusto che in Italia non si sappiano i dati di vendita dei dischi?

Conoscere quanto ogni artista vende ogni settimana potrebbe educare i consumatori in Italia?

Articolo di
Federico Maccarrone
on
01
-
08
-
2020

I numeri, intesi come numeri di vendita, di valutazione del valore di un prodotto, sono sempre stati un elemento di contrasto tra due visioni: da un lato c’è chi sostiene che la musica non la facciano i numeri e dall’altro c’è chi afferma che in realtà i numeri e i risultati siano l’unico elemento che conta davvero.


Ecco, tenuto conto di questo, per quanto possa risultare difficile da accettare, la verità è che in medio stat virtus.
Per quanto a chiunque possa piacere qualsiasi cosa, quando ragioniamo sui trends e sulla popolarità di un genere, non possiamo prescindere in alcun modo dal valutare i numeri.

Tenuto conto di questo, allora possiamo cominciare a ragionare sul perché questi numeri siano così importanti per la definizione dell’importanza di un artista.

Il rapporto tra numeri e successo


Ed è proprio qui che si apre il vaso di Pandora: quanto è importante saper leggere i numeri, quando si parla di musica?


Non vorrei esagerare, ma, tenendo fuori la concezione soggettivistica del gusto personale nella musica, probabilmente capire il successo di un progetto è uno dei punti fondamentali per cogliere l’impatto di quest’ultimo su una determinata fanbase.

Vuoi un esempio dell’importanza delle classifiche?


Spesso l’ascoltatore (in particolare, purtroppo, quello italiano) è un ascoltatore che potremmo definire passivo. Non è spinto infatti alla ricerca di nuovi brani e nuovi artisti, ma vuole avere di fronte a sé una selezione, una sequenza mixata che possa piacergli.
Questo ruolo viene oggi assolto da due entità differenti, ma in parte simili, tra loro: da un lato ci sono le radio, dall’altro le playlist.

In questi contenitori viene racchiuso tutto ciò che ha ottenuto un certo livello di apprezzamento e che si ritiene possa essere approvato anche da uno spettro di ascoltatori più ampio.
In ambedue i casi, ad essere sempre fondamentali nella scelta sono i dati, i numeri che le tracce hanno già maturato.

Qual è la più attendibile tra le varie classifiche?


Negli ultimi anni, il mondo dello streaming, che è spesso molto più democratico rispetto a quello delle radio, è riuscito ad anticipare i trend che poi sarebbero spopolati in radio, ma, proprio perché i servizi di streaming sono aziende data based, allora si capisce perché le classifiche in sé abbiano un’importanza così fondamentale.

A questo punto, però, si apre un ulteriore problema: qual è la classifica che realmente conta nel mercato?

Quella di Spotify o quella di Apple Music? Quella GFK o quella di YouTube? Quella di Shazam o quella dei biglietti venduti dall’artista?


Questo moltiplicarsi di piattaforme di classifiche e di numeri tra loro diversi e contrastanti è uno dei motivi per cui, ad oggi, è necessario fare ordine all’interno di questo mondo, comprendendo in primis come funziona.

Partiamo dall’inizio: chi non ha mai visto un rapper vantarsi nelle proprie Instagram Stories del numero 1 in Fimi?


Ciò che non è chiaro, tuttavia, è cogliere e capire a cosa equivalga quella posizione.


Con quanti dischi si arriva primi in classifica? Quanti dei dischi venduti sono dischi fisici? Quanti invece derivano dalla conversione degli streams?

Tutte queste informazioni sono accessibili solo ad addetti al lavoro e affini, ma sono elementi che, forse, potrebbero aiutare anche gli ascoltatori e i consumatori a ricevere un’educazione discografica, capendo anche il differente impatto dei diversi artisti che popolano, settimana per settimana, le varie classifiche.

A tal fine, abbiamo chiesto a Paola Zukar, manager di Marracash, Fabri Fibra, Madame e Clementino, e a Ciro Buccolieri, fondatore di Thaurus, società di management di Sfera, Rkomi, Ernia, FSK e molti altri, la loro opinione sulla questione.

Ciro Buccolieri: i numeri devono essere sempre contestualizzati


Io lavoro con i numeri, certo che sono importanti, però non sono tutto perché da soli non valgono nulla, devono sempre essere interpretati.
Checché se ne dica, la musica va letta e inquadrata.


Ti faccio un esempio: non per forza un disco che streamma o che vende 50.000 copie è un successo, ma è necessario valutare il tutto in riferimento all’investimento, alle aspettative, al profilo artistico.


È vero che rendendo pubblico il numero di copie vendute del disco si capirebbe la differenza tra la prima posizione di X, che è arrivato primo in Fimi con 2.000 copie, e Y, che è arrivato primo con 15.000 copie settimanali, ma siamo sicuri che il grande pubblico abbia le chiavi per cogliere le differenze e contestualizzare i numeri?

E ancor di più: siamo certi che al pubblico interessi?

È certo che la percezione di un successo automaticamente crea un circolo virtuoso in cui un artista può raggiungere ulteriori successi, anche in altri ambiti, ma non sono certo che aiuterebbe l’educazione del pubblico.

Il pubblico generalista non può capire appieno i numeri e, rendendoli pubblici senza prima contestualizzarli, si rischierebbe di sminuire il risultato di un disco, perché per capire il successo di un progetto bisogna interpretarlo nel tempo, cogliere il percepito.

Tutte queste azioni non possono essere sempre incasellate nei numeri.

Oggi si vive di hype, che è una cosa finta, fatta di commenti, likes ai post. Lo streaming ha reso tutto molto più meritocratico e molti numeri sono già accessibili ai più, perché basta guardare la chart di Spotify per cogliere l’andamento degli artisti, ma quella sarà sempre una visione parziale, mai pienamente soddisfacente di quello che l’artista rappresenta o dell’impatto che lo stesso ha raggiunto.

Ti dico di più: oggi vedere quella stessa classifica piena di progetti rap mi rende felice, perché siamo andati in culo al pop di quarta categoria che abbiamo sempre cercato di combattere. Questa è già una vittoria per tutto il movimento hip hop, al di là dei numeri e di tutto il resto.

Paola Zukar: i numeri non rappresentano la piena oggettività


I numeri sono da sempre un argomento controverso.


Io non sono molto fan dei numeri, fuori da quelli inclusi nei rendiconti che mi piace controllare e verificare a tempo debito due volte l’anno.


È giusto pensare che rendere pubblico il fatto che due artisti, formalmente uguali, perché primi in classifica, in realtà sostanzialmente sono molto diversi, perché uno è primo con un numero di copie che è un decimo delle copie dell’altro.


Quindi è vero che c’è chi è primo e chi è “più primo dell’altro”, ma non so se sia educativo per il pubblico. Ultimamente ho visto artisti schiaffeggiarsi con i numeri, come fossero l’unica cosa che conta.

Non è così.


Per questo motivo non vorrei che, rendendoli pubblici, i numeri di vendita diventino invece un modo per sminuire il lavoro dell’artista.
Il principio in sé sarebbe educativo e trasparente, ma, lasciati senza contesto al pubblico generalista, penso possano cadere in una degenerazione del tipo “X è migliore di Y, solo perché ha venduto più copie”.


Sta roba non ha nulla a che vedere con l’arte, con la musica.


Che poi, posso dirti? Vedo tutta questa gente vantarsi di primi posti, ma quanti primi posti sono poi caduti nel dimenticatoio?
Ad oggi, per diventare il numero 1 basta scegliere la settimana giusta, cioè quella in cui non esce un artista più grande di te.


Cosa interessa al pubblico? Nulla.


Questa cosa della numerocrazia sta diventando ingombrante e, se possiamo dirlo, questa necessità dei numeri è stata creata dai social: ho fatto un milione di streams, ho fatto centomila views in 16 ore e mezza, centomila likes in un’ora. Ok, ma cosa c’entra davvero con la musica?


Anni fa i numeri ci servirono ad affermarci nel mainstream contro il pop, per dimostrare che anche il rap aveva numeri di tutto rispetto, pur in un’era pre-streaming dove il pop vendeva i dischi, mentre il rap veniva file-sharato gratuitamente e quindi sminuito agli occhi di un mercato. Ma tutto in un solo contesto numerico, la qualità non può che rimanere in secondo piano.


Non vorrei dirlo così, ma è diventato troppo un mercato “influencer”, una contestualizzazione algebrica che mi annoia molto.
Persino Jay Z si è pentito di aver detto “Men lie, women lie, numbers don’t”.


Per non entrare nell’ottica del “lui ha i numeri e per forza ha ragione”, i numeri vanno sempre messi in un contesto, in prospettiva. Da soli possono essere manipolabili.
Non c’è oggettività neanche in loro, saranno sempre una visione esclusivamente parziale. La realtà dei fatti è senz’altro più sfaccettata e complessa dei risultati numerici.

I numeri sono solo la punta dell'iceberg dell'analisi musicale

I numeri, insomma, sembrano dover essere vissuti più come un mezzo per comprendere la realtà, piuttosto che un fine.

In Francia e negli Stati Uniti, seppure per vie traverse rispetto a quelle ufficiali, la comunicazione del numero di copie vendute avviene settimanalmente, ma in Italia, ad oggi, questa pratica è ancora inutilizzata.

Forse è vero che al pubblico non interessi e che il rischio è che si creino inutili contrasti tra differenti fanbase, ma penso che il fan possa sfruttare questi dati per cogliere le vere differenze tra chi è primo su Instagram e chi nella vita reale, tra chi parla e chi il successo lo ottiene davvero.

È forse un'utopia?

Ringraziamo Ciro Buccolieri e Paola Zukar per il prezioso contributo.

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Autore:
Federico Maccarrone

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